L’Emilia Romagna non è terra di mafia. Non lo è come lo possono essere le regioni del sud Italia, dove le mafie esercitano un controllo sociale e militare del territorio. Lo è invece per quel che riguarda gli investimenti mafiosi. L’Emilia Romagna è una regione ricca, dove i boss riciclano i propri capitali, avvelenando l’economia legale. Sono alcune delle conclusioni del convegno organizzato dall’Associazione nazionale dei magistrati ieri a Bologna: “i soldi delle mafie in Emilia Romagna”. A parlarne magistrati ed esperti del contrasto finanziario alle organizzazioni criminali. Tra i relatori Pier Luigi di Bari, presidente della giunta distrettuale dell’Anm, a Emilio Leodonne, Procuratore generale di Bologna. Sono intervenuti, inoltre, Marco Maria Alma, consulente della Commissione parlamentare antimafia, Simonetta Saliera, vice-presidente della Giunta regionale, Roberto Alfonso, procuratore di Bologna, Giovanni Castaldi, direttore dell’Ufficio informazioni finanziarie (Uif) della Banca d’Italia e Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico. Presenti al convegno numerosi Procuratori dei diversi distretti emiliano-romagnoli.
Quali sono i settori dove i boss investono di più? Per Emilio Leodonne, Procuratore generale di Bologna: «L’edilizia, le imprese , il mondo del divertimento». Imprese “diverse” da quelle che onestamente lavorano sul territorio. «Imprese a partecipazione mafiosa», sottolinea il Procuratore Leodonne. «A Cesena – aggiunge – un esponente del clan Condello, tramite una fitta rete di prestanome, gestiva attività economiche per il valore di 15 milioni di euro. Fortunatamente sequestrate». Oppure, sottolinea Leodonne, ci sono attività che cercano di monopolizzare alcuni settori del mercato. «Nicola Archi, arrestato dai carabinieri del Ros di Bologna, era il titolare del “Pellegrino caffè”. Il boss – aggiunge il Procuratore – imponeva marchi di caffè, macchinari e pezzi di ricambio, sviluppando contatti con imprenditori emiliani». «E’ necessario – conclude Leodonne – poter contare sul coraggio degli imprenditori emiliani».
Il coraggio di ribellarsi alla spregiudicatezza delle mafie, denunciando le irregolarità. Una pratica che in Emilia Romagna, non è particolarmente diffusa. Le istituzioni regionali provano a costruire degli argini. Simonetta Saliera, vice – presidente della Giunta regionale è chiara nel suo intervento. «La nostra regione – ha dichiarato – non è indenne al rischio di infiltrazioni mafiose». Per questa ragione la Giunta ha presentato una proposta di legge regionale, arrivata in Assemblea Legislativa e in fase di approvazione, proprio sul problema mafie. «La legge – ha affermato al Saliera – è una borsa degli attrezzi a disposizione di chi voglia promuovere progetti di intervento preventivo». «Ci rivolgiamo – ha aggiunto – al corpo sociale della nostra regione per intervenire contro le svariate forme di comportamento criminale, quali usura, racket, riciclaggio, droga, prostituzione e tratta di esseri umani». Con la legge: «La Regione potrà intervenire per favorire l’emersione dei reati. Dando inoltre un’attenzione particolare al mondo delle scuole per rafforzare il senso di legalità». Un importante strumento, quindi, per contrastare le mafie in Emilia Romagna.
Contro i clan, quindi, ma anche contro i “colletti sporchi” che garantiscono la potenza e la ricchezza delle organizzazioni criminali. Le mafie sono cambiate, e sono cambiati anche i rapporti con la politica e l’economia. «Le nuove generazioni di boss mafiosi – spiega Marco Maria Alma, magistrato e consulente della Commissione antimafia – sono “colte”». Ovverosia: «Fanno investimenti in operazioni commerciali e finanziarie particolarmente raffinate».
«Si assiste – aggiunge – ad una tendenza verso l’inabissamento delle organizzazioni criminali. Le mafie sempre meno uccidono (chi spara di più è la camorra) ma uccidono l’economia». Un modo più subdolo e sottile per imporre il proprio potere. L’Emilia Romagna è la quinta regione del centro-nord per reati di estorsione. Inoltre, nei primi sei mesi del 2010 sono state segnalate operazioni finanziarie sospette che equivalgono al 7,9% del totale nazionale. «L’impresa mafiosa – sottolinea Alma – utilizza alcune volte l’intimidazione, ma spesso sfrutta il suo “capitale mafioso”». Uno strumento molto utile per avviare rapporti con soggetti esterni alle organizzazioni criminali, ma che, pur sapendo con chi hanno a che fare, decidono di rapportarsi con i boss. Perché? «Perché l’impresa mafiosa non è mai in crisi – sottolinea Alma – e si espande in continuo». Un situazione che scardina le regole del libero mercato, mettendo in ginocchio gli operatori economici onesti. L’impresa mafiosa, proprio per il suo essere tale, riesce ad essere più concorrenziale.
Perché? «Adotta una compressione dei salari – sottolinea il consulente della Commissione antimafia – con il lavoro nero, non versando i contributi. In questo modo i costi che deve affrontare sono minori e l’impresa mafiosa risulta essere più competitiva». Non si tratta solo di questo. Questo genere di imprese ottiene prezzi più vantaggiosi dai fornitori, oppure gestiscono l’intero indotto. Le imprese mafiose, inoltre, dispongono di risorse illimitate. L’unico loro obiettivo è quello di ripulire proventi illeciti, possono, così, lavorare anche in perdita. Inoltre, il mix di enormi quantità di fondi liquidi e la capacità intimidativa, fa si che queste imprese riescano ad eludere ogni tipo di controllo. Corrompendo o minacciando. Un pericolo sottile, ma molto pericoloso e concreto, che sta trasformando l’Emilia Romagna in una regione dove le mafie si stanno profondamente radicando.
tratto da LiberaInformazione