“Quella persona è stata una vittima ed il minimo che le Istituzioni possano fare è costituirsi parte civile, compiere un passo avanti.“ Pino Masciari, dal Festival \’Trame’ di Lamezia Terme, commenta così l’appello dei familiari di Lea Marisa Garofalo. “La speranza è quella che l’appello venga accolto, perché le parole non bastano, serve una condanna unanime, anche della società civile. Quello che fanno le mafie è una deturpazione delle libertà e dei diritti dei cittadini calabresi e a pagare è tutta la società. Le Istituzioni diano un segnale forte, deciso, un segnale di non ritorno andando avanti sulla strada tracciata dalla Regione e si costituiscano parte civile nel processo per l’omicidio di Lea Garofalo. Il segnale al momento è debole e non comprendo questo tentennamento. Non comprendo come le amministrazioni possano dimostrare questa leggerezza, questa superficialità non prendendo subito una decisione deteterminata e ferma. Personalmente voglio pensare che lo faranno a breve, questa è la strada da seguire per innescare quella rivoluzione culturale di cui ha bisogno la Calabria.”
Gli enti locali siano parte civile al processo per l\’omicidio di Lea Marisa Garofalo: «Seguano l\’esempio della Regione Calabria»
di Carmelo Colosimo (Gazzetta del Sud)
(Petilia Policastro). Così come ha fatto la Regione, ora anche la Provincia di Crotone ed il Comune di Petilia Policastro si costituiscano parte civile nel processo che si apre a Milano contro i presunti assassini dell\’ex testimone di giustizia Lea Garofalo, originaria della frazione Pagliarelle. Questo, l\’auspicio e l\’invito dei familiari di Lea, in particolare della sorella Marisa, che a nome della famiglia innanzitutto ringrazia il presidente della Regione Scopelliti. Con un\’apposita delibera la Giunta regionale il 17 giugno, ha autorizzato \”la costituzione di parte civile della Regione Calabria nel procedimento penale a carico di Cosco Carlo +5\”.
Difatti, davanti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, inizierà il prossimo 6 luglio, con il rito del giudizio immediato, il processo nei confronti di Carlo Cosco e degli altri cinque che devono rispondere dell\’uccisione di Lea Garofalo. E Marisa Garofalo, sorella della povera Lea, desidera invitare le altre istituzioni ad assumere lo stesso impegno della Regione, anche per dare un segnale forte e tangibile, una risposta concreta e visibile di quello Stato che nel corso degli anni passati ha mostrato forse qualche esitazione nei confronti di Lea in ordine alla sua sicurezza. Sarebbe auspicabile che un segnale preciso arrivasse proprio dallo stesso Comune dove Lea è nata ed è vissuta. Da quel contesto difficile dove la \’ndrangheta ha fatto sentire troppo spesso la sua presenza opprimente.
«Sarebbe un segnale – aggiunge Marisa Garofalo – che servirebbe soprattutto alle nuove generazioni, che potrebbe aiutare i bambini ed i ragazzi a sapersi orientare tra questa confusione di falsi valori, che potrebbe far vedere e capire quali sono i confini della legalità e del vivere civile». Un ambiente che va aiutato ad uscire da un certo isolamento, da certi tabù, con l\’aiuto delle istituzioni sane e dei cittadini onesti. Bisogna cercare di uscire da questo tipico atteggiamento di chi non vede, non sente e non parla. E Lea, invece, questo coraggio l\’ha avuto ed ha parlato, cominciando dal di dentro, da quello che le era più vicino, iniziando a collaborare, nel 2002, con la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, pur conoscendo già il destino che le sarebbe potuto toccare, perché l\’omertà ha un valore per gli \’ndranghetisti e disobbedire alla regola del silenzio equivale a disonorare l\’\”onorata società\”. E la vendetta può arrivare con l\’odore acre dell\’ acido, come nel caso di Lea Garofalo, che rapita a Milano in corso Sempione il 24 novembre del 2009, sarebbe stata uccisa e sciolta nell\’acido in un campo alla periferia di Monza. Vicino quella Milano che corre distratta, ma che anche lei non vede, non sente e non parla. Una storia dell\’onorata società, fatta di potere e ricchezza, certo, ma prima di tutto di violenza, di sangue, di disprezzo per la vita, e quella di Lea Garofalo simbolo per la gente per bene e modello per la giovane figlia Denise ed i suoi familiari.