Il magistrato a Vibo: «I professionisti fanno la fila per offrire il caffè ai boss. E nessuno si scandalizza». La storia dei rapporti pericolosi tra politica e clan, le difficoltà per pubblicare “Fratelli di sangue” («molti editori ci hanno chiuso le porte») e la legge sulle intercettazioni («una porcheria»)
Visto che uno degli argomenti è (inevitabilmente) la libertà di stampa, Nicola Gratteri la tocca subito piano: «Molte case editrici per Fratelli di sangue (il primo libro scritto dal magistrato assieme ad Antonio Nicaso, ndr) ci hanno chiuso le porte, come Laterza ed Einaudi. Poi trovammo Pellegrini. E poi per gli altri libri, visto il successo, facevano a gara». Il secondo “compleanno” della testata online zoom24.it, festeggiato nell’auditorio Chiesa nuova di Vibo Marina, è l’occasione per un dialogo tra il procuratore di Catanzaro e il presidente dell’Ordine dei giornalisti della Calabria, Giuseppe Soluri. Gratteri ha in uscita un nuovo volume, “Fiumi d’oro”, nel quale – sempre insieme con Nicaso – spiega l’escalation criminale della ’ndrangheta attraverso il controllo del mercato della cocaina. Ma la storia dei clan nasce da lontano. Ed è una storia che si intreccia, fin dai primi vagiti, con le classi dominanti, con il potere. «I primi contatti tra aristocrazia e picciotteria – spiega – furono alle elezioni comunali di Reggio alla fine dell’Ottocento. Le elezioni furono poi annullate, tanti furono i brogli e gli episodi di violenza». È il primo contatto «tra classe dirigente e picciotteria, che così fu legittimata e cominciò ad avere un ruolo nel controllo del latifondo. Così la picciotteria entra nella vita sociale».
«Poi – continua il magistrato – ci fu il terremoto del 1908; la cifra enorme stanziata per la ricostruzione finisce ai mafiosi, compresi quelli che erano tornati da New York. Prima erano ladri di polli, poi grazie ad aristocratici e latifondisti sono diventati ‘ndrangheta». È un connubio essenziale quello tra classe dirigente e mafiosi. Seguiranno, nel corso dei decenni, aggiustamenti interni («con il summit di Montalto del 1969 si cominciò a parlare di unitarietà della ‘ndrangheta e siamo dovuti arrivare alla sentenza Crimine (2015) per avere la conferma») e una sottovalutazione «colpevole» da parte di magistrati, storici e giornalisti. Accade così che «dopo la stagione buia dei sequestri la ‘ndrangheta si sia impadronita della cosa pubblica». E abbia creato dei gradi, come la “Santa” «per entrare nella stanza dei bottoni. In origine i santisti erano solo 33, erano legittimati ad avere la doppia affiliazione, alla ‘ndrangheta e alla massoneria deviata. Lì c’è l’incontro tra ’ndranghetisti e professionisti, quadri della pubblica amministrazione. Eppure abbiamo continuato a descriverli come una banda di rozzi». L’«abbraccio tra ’ndrangheta e massoneria deviata diventa sempre più stretto, a un certo livello sono la stessa cosa».
Gratteri viaggia veloce tra citazioni storiche e attualità: «Il nostro livello morale ed etico si sta abbassando sempre di più. Nelle piazze di Vibo vedete sempre di più ’ndranghetisti prendere il caffè con professionisti o funzionari del Comune, e non ci si scandalizza più per questo». Cambia il core business delle cosche: «Oggi l’obiettivo del capomafia non sono i soldi, ma far entrare i propri figli nella cerchia di amicizie dei figli dei professionisti. E tanti professionisti fanno a gara per offrirgli il caffè».
Non è un inedito assoluto: «Già nel periodo dei sequestri ci sono state interazioni sospette. Dubbi su alcuni casi, come quello di Celadon, che riuscì a liberarsi da catene pesantissimi anche se era ridotto pelle e ossa. In quella stagione arrivarono alla ‘ndrangheta grandi ricchezze». A quel punto, si direbbe nel linguaggio di programmazione, c’è un upgrade, un aggiornamento: «I clan hanno cominciato a investire nelle costruzioni, nell’eroina, poi più avanti con gli anni 80 c’è il boom della cocaina. Oggi la ‘ndrangheta controlla l’80% della cocaina che arriva in Europa. Ne riusciamo a sequestrare tra il 10 e il 15%. Da almeno 25 anni le cosche vendono cocaina all’ingrosso a Cosa nostra e camorra. E oggi comprano tutto ciò che è in vendita da Roma in su, dalla ristorazione all’agricoltura ad altri settori. Sono presenti in quattro continenti».
Dal palco di Vibo, il procuratore ribadisce una valutazione già resa nota in passato: «La ’ndrangheta della provincia di Vibo ha lo stesso spessore criminale delle cosche del Tirreno reggino. È ’ndrangheta di serie A». Non è l’unico concetto che tiene a ribadire: « Secondo alcuni studiosi la ’ndrangheta fa perdere alla Calabria il 9% di Pil. Droga il libero mercato, non crea lavoro, crea sfruttamento, fa chiudere le imprese delle persone perbene».
Poi si mette dalla parte di chi la racconta, di chi racconta la Calabria: «Il mestiere del giornalista è bellissimo, ma la vita del giornalista è brutta, sia sul piano economico che della sicurezza. Vedo molti giornalisti giovani motivati sul piano etico, e questo mi rincuora. Rischiano ogni giorno, fanno domande e inchieste sul campo. Negli ultimi anni in Calabria molti giornalisti sono stati minacciati».
Soluri fa una puntata sull’attualità nazionale: «Il decreto sulle intercettazioni – chiede – ha scontentato un po’ tutti. In questi casi o si fa una legge perfetta o si fa una porcheria. Cosa ne pensa?». Di nuovo il magistrato non usa mezze misure: «Penso che siamo in presenza della seconda. I cittadini hanno diritto di sapere se qualcuno ha commesso un reato. Se le intercettazioni non riguardano fatti privati ma fanno parte integrante del capo di imputazione vanno pubblicate».