Alessandro Sala per Il corriere.it – «Hai una famiglia. Non rompere più i coglioni con le stronzate di ecomafia». Il messaggio non lascia molti dubbi. Difficile non interpretarlo per quello che è. A Gianni Lannes, giornalista freelance che ha fatto delle inchieste scomode la cifra di tutta la sua carriera, è stato recapitato venerdì sotto forma di bigliettino lasciato nell\’auto della moglie, in bella vista sul seggiolino di sicurezza del figlio piccolo.
I PRECEDENTI – Non è la prima volta che il reporter riceve minacce o subisce attentati – nel 2009 prima l\’auto della moglie poi la sua furono date alle fiamme, poi qualcuno entrò nel suo appartamento e rubò un personal computer; e, ancora, una lunga serie di minacce telefoniche anonime -, tanto che dal 22 dicembre 2009 al 22 agosto 2011 lui e la sua famiglia hanno vissuto sotto protezione: il cronista costantemente scortato da due agenti di polizia, moglie e figli sotto la vigilanza dei carabinieri. Ma l\’estate scorsa la tutela è stata revocata, malgrado non siano venute meno le ragioni che l\’avevano giustificata. Come dimostra l\’ultimo episodio. O, forse, il penultimo: nella notte di domenica il suo videocitofono, solo il suo in tutto il palazzo, è infatti finito fuori uso e dall\’interno dell\’abitazione non è più possibile vedere chi c\’è alla porta. Anche questa vicenda è andata ad aggiungersi alla quindicina di denunce in Procura presentate dal giornalista per le intimidazioni subite negli ultimi due anni.
IL SOPRALLUOGO A CAORSO – La cancellazione della protezione, denuncia Lannes, ha avuto una tempistica sospetta: è arrivata infatti dopo la presentazione di un esposto formale sulle attività di bonifica del sito della centrale nucleare di Caorso, la cui attività non è mai ripresa dopo il referendum del 1987 con cui gli italiani avevano pronunciato il proprio no all\’energia atomica. Giornalista investigativo specializzato in inchieste sui reati ambientali, Lannes era riuscito a penetrare nel sito della centrale nel 2008, dimostrando così quanto fosse relativamente semplice accedere ad un impianto che potrebbe essere un obiettivo sensibile, bersaglio di eventuali azioni terroristiche. Nessuno lo aveva fermato. E lui era riuscito a gironzolare tranquillamente all\’interno del sito facendo fotografie e raccogliendo documentazione sull\’attività di bonifica dell\’area. In particolare, aveva scoperto la presenza di camion di una società genovese, la Ecoge, a cui la Sogin – la società di Stato incaricata della bonifica ambientale degli impianti nucleari italiani, che prevede di concludere i lavori a Caorso nel 2025 – avrebbe appaltato una parte delle operazioni di smantellamento. «Il problema – sottolinea Lannes – è che la società appaltatrice, secondo alcuni rapporti della Direzione investigativa antimafia, è di proprietà di una famiglia considerata organica alla \’ndrangheta. Ho chiesto spiegazioni alla Sogin. Prima hanno negato, poi quando hanno visto la foto che avevo inviato loro mi hanno suggerito di non parlarne troppo e di tenere un basso profilo».
LA DENUNCIA E LA PROTEZIONE REVOCATA – La vicenda è dunque poi sfociata in una denuncia alle autorità. Come spiega lo stesso Lannes anche nel suo blog: «Il 13 luglio 2011 ho prestato la mia collaborazione raccontando, alla presenza del mio legale e dei miei due agenti di scorta, al tenente Vincenzo Scarfogliero del Noe carabinieri di Roma, specializzato nel nucleare, ciò che avevo scoperto a Caorso. (…) Sei giorni più tardi, il 19 luglio, mi è stato comunicato telefonicamente che di lì a poco mi sarebbe stata revocata la protezione. Così è stato». Una revoca annunciata telefonicamente, mai motivata e mai formalizzata con un atto ufficiale, a cui il suo avvocato si sarebbe potuto eventualmente appellare. «Penso che sia la prima volta che in Italia accade una cosa del genere» commenta Lannes.
I SILENZI DEL GOVERNO – La vicenda del sopralluogo a Caorso è stata anche al centro di un\’interrogazione presentata nell\’aprile del 2010 da alcuni deputati di Pd e Radicali – prima firmataria Elisabetta Zamparutti – a cui però non è mai stata data risposta dal ministro dell\’Interno allora in carica, Roberto Maroni. Gli stessi deputati il 2 agosto 2011, hanno chiesto spiegazioni sulla revoca annunciata della scorta a Lannes, anche in quel caso senza ottenere una risposta precisa. Ci riproveranno in questi giorni, appellandosi al ministro Anna Maria Cancellieri, salita al Viminale con il governo Monti. Perché dopo mesi di silenzio un avvertimento come quello fatto ritrovare sul seggiolino del bimbo non può passare in secondo piano.
«NON SONO UN EROE» – Lannes ha denunciato per anni reati ambientali e infiltrazioni della criminalità nel business degli smaltimenti, ha raccontato delle navi dei veleni, ha denunciato la presenza di almeno un migliaio di container con rifiuti affondati nei mari italiani. «Quando un giornalista si espone rischia di ritrovarsi in situazioni come quella in cui mi trovo io – dice ora Lannes -. In questo Paese è difficile lavorare con serenità, ma io non cerco una tutela per me, vorrei che lo Stato garantisse almeno l\’incolumità della mia famiglia». Lo ha scritto anche sul suo blog, «Su la testa»: «Venticinque anni fa ho fatto una scelta di vita – commenta Lannes -: non sono un eroe da seppellire!».