di Cristina Bassi (Panorama)
Dei testimoni di giustizia, cioè delle persone che denunciano i mafiosi di cui sono vittima e che rientrano in uno specifico programma di protezione (da distinguere dalla figura del collaboratore di giustizia), si parla poco. È per certi versi logico, visto che appunto vivono in località protette e in segreto. Ma questo comporta che le loro condizioni di vita, spesso difficili, non sono conosciute e non finiscono sui giornali. Anzi, se hanno la forza di lamentarsi e di denunciare i disservizi (nel migliore di casi) che subiscono, rischiano di passare per rompiscatole. La vicenda di Francesco Dipalo, il testimone di giustizia scomparso il giorno di Natale senza portare con sé soldi, cellulare né auto, è un esempio importante.
La moglie di Dipalo, Laura Lorusso, ha spiegato che il marito non dà notizie di sé dal 25 dicembre, giorno in cui si è allontanato dal luogo dove vive sotto protezione insieme alla famiglia. La Dda di Bari ha aperto un’inchiesta, le ricerche sono affidate ai carabinieri della stessa città, in collaborazione con quelli della località protetta. Secondo la donna, Dipalo è depresso perché si sente abbandonato dalla istituzioni ed è in cattive condizioni di salute. Il 24 dicembre avrebbe anche inviato una mail alla procura di Bari, senza ricevere risposta. Già nel 2008 l’imprenditore di Altamura, che aveva denunciato gli estorsori cui aveva pagato il pizzo per anni, era sparito per qualche giorno. Non si sentiva adeguatamente protetto, dichiarò, e si considerava vittima “non solo del racket delle estorsioni, ma anche di un sistema che non tutela chi denuncia i propri aguzzini”. Dopo aver testimoniato contro chi lo taglieggiava infatti sia lui sia la sua famiglia avevano subito aggressioni, una anche nella caserma dei carabinieri di Altamura.
Anche in questo caso gli inquirenti credono che Dipalo si sia allontanato volontariamente. Questo è il punto. La vita dei testimoni di giustizia, e delle loro famiglie con bambini anche piccoli, è fatta di coraggio e rispetto per la legalità ma spesso anche di disattenzioni subite, amarezze, disagi pratici ed emotivi, sradicamento, ingiustizie. Persino scarsa protezione da parte dello Stato ed episodi che farebbero pentire i più di aver sfidato la criminalità ed essersi messi nelle mani delle istituzioni. Una condizione descritta, lucidamente e rivendicando le scelte fatte, in un libro (Organizzare il coraggio, Add Editore) da Pino Masciari dopo 13 anni di vita in fuga. L’imprenditore edile calabrese si è sempre rifiutato di cedere alla ‘ndrangheta e ha dovuto lasciare la propria terra. Lea Garofalo, compagna di un affiliato alla ‘ndrangheta e poi collaboratrice di giustizia, è stata uccisa e sciolta nell’acido. Francesco Dipalo, pare, si nasconde dai criminali ma anche da chi dovrebbe proteggerlo. “Se dovesse succedergli qualcosa, se dovesse fare qualche atto estremo, voglio che la gente sappia: denunciare non serve, è meglio non farlo. Quello che ti fa lo Stato è peggio di quel che fanno i delinquenti”, ha detto sua moglie.