di Vito Alberto Lippolis V B Liceo Classico di Gioia del Colle
Nel grigiore della polvere migliaia di volantini rosso natalizio si rincorrono sospinti dal vento e lanciati via rabbiosamente dalle migliaia di esodati, i sindacati diventano tristi trincee, il cenone di Natale le madri di famiglia lo rubano dall’ipermercato ipotecato di un qualche riccone della new economy ormai in rovina, le banche vengono prese d’assalto, le scuole restano chiuse e al freddo e nessuno sa più cosa sia il Futuro.
Dunque siamo in guerra, eppure c’è la Pace.
Lo dimostra non un semplice documento o un articolo qualsiasi, ma uno dei più importanti riconoscimenti a livello mondiale: il premio Nobel per la Pace.
A centoundici anni dalla sua nascita e quasi altrettanti premi assegnati, quest’anno proprio l’Unione Europea è stata ritenuta meritevole del prestigioso premio. E ciò ha generato non pochi malcontenti.
Di certo non è la prima volta che il premio viene assegnato a un organo formato da più membri (vd. Croce rossa o Medici senza Frontiere) o con motivazioni nebulose e ambigue (vd. Un Obama appena eletto e a malapena entrato nella stanza ovale), ma ci si chiede se sia giusto davvero considerare pace il semplice fatto che i caccia non sorvolino più i nostri cieli e che nessun uomo possa venir torturato o messo al confino.
LA storia del premio di quest’anno – e non si può dire altrimenti – è stata movimentata: le opposizioni all’assegnazione, il problema del ritiro del premio, il video di Van Rompuy senza l’Italia, il video riparatore e perfino, ormai quando quasi tutto era finito, proprio mentre lo stesso presidente dell’Unione Europea ritirava il premio, la comunicazione di Amnesty International degli ultimi dati sulla crescente xenofobia e intolleranza nel nostro continente.
Tutti ci siamo chiesti, in definitiva, se davvero questo sia un premio meritato. In Europa i governanti sono deboli, le agenzie di rating possono ridurre intere popolazioni in miseria con una sola pubblicazione e sempre più nascono movimenti populistici e demagogici – nel peggiore dei casi perfino neofascisti – pronti a promettere il decesso dell’Euro e dell’Europa: nella stessa Unione manca l’unità tra gli stati, primario valore per un’ organizzazione che pretende di darsi nome “Unione” e che palesemente manca in molte situazioni come per le inadempienze del Regno Unito o la proposta di annessione della Turchia.
Oggi l’Unione Europea è sentita, soprattutto in Italia, come una continua singolar tenzone, come una serie di prove e di muri da scavalcare, all’inseguimento del celeberrimo spread, con la terribile Germania boia e dispensatrice massima di terribili misure di austerità a povere e innocenti nazioni come Grecia o Spagna.
Ovviamente in pochissimi hanno applaudito il premio come vero e proprio riconoscimento del conseguimento di determinati obbiettivi, ma la maggior parte dei favorevoli all’assegnazione del premio avverte tutti di non considerarlo come un vero e proprio riconoscimento, ma come un grande incentivo alla coesione e alla pacifica convivenza di un continente che non vede più i muri della guerra fredda, ma che rischia di alzare muri di vetro tra gli stati e, ancor peggio, tra le persone, ancor più infrangibili e terribili di qualunque altro che Storia europea e umana rimembri.
“Voglio rendere omaggio a tutti gli europei che hanno sognato un continente di pace e a quelli che lo hanno reso una realtà”, ha detto il presidente Van Rompuy al discorso di accettazione del premio Nobel.
Parole magnifiche di certo, ma che davvero potranno essere valide e vere quando nessuno avrà più bisogno di traduzione, perché le avrà già incise nell’animo. Di Europeo e di Uomo.