Pino Masciari: \”Nel fare memoria di questo avvenimento storico si vuole esprimere, ancora una volta, tutta la nostra solidarietà e la gratitudine che ci legano alle Forze dell\’Ordine e in particolare ai Carabinieri che, con coraggio e determinazione lontani dalla ribalta e senza protagonismi, ogni giorno, combatto le mafie e si prendono cura della sicurezza di coloro che, come il sottoscritto, sono in pericolo di vita per aver denunciato la \’ndrangheta e le sue collusioni ai massimi livelli. Non bisogna mai dimenticare il sacrificio di questi uomini e l\’impegno che mettono nel loro lavoro, si tratta di persone eccezionali, donne e uomini dotati di grande senso del dovere e dello Stato. \”
Eccidio alle ore 14.25 del 1° aprile 1977 in contrada Razzà di Taurianova.
Due militi, l’Appuntato Stefano CONDELLO ed il Carabiniere Vincenzo CARUSO, in servizio al Nucleo Radiomobile del Comando Compagnia Carabinieri di Taurianova, che avevano scoperto undici mafiosi a convegno in una casa colonica, venivano trucidati a colpi di fucile e di pistola. I convegnisti lasciavano sul posto anche due dei loro: Rocco AVIGNONE, 35 anni, e suo nipote, Vincenzo, di anni 20, i quali si sarebbero sacrificati, ingaggiando il conflitto a fuoco con i Carabinieri, per permettere la fuga di qualcuno molto potente che doveva essere protetto ad ogni costo. Si salvò miracolosamente allo scontro a fuoco il Carabiniere Pasquale GIACOPPO, queste le parole pronunciate davanti alle bare di CONDELLO e di CARUSO dal Comandante Generale dell’Arma Enrico MINO:
“Questi due Carabinieri non sono morti invano”
Le indagini condotte dagli stessi Carabinieri portarono all’identificazione ed all’incriminazione di nove dei partecipanti al pranzo (undici erano le persone… perché tanti erano i piatti attorno alla tavola imbandita); gli altri due commensali non furono mai individuati. E ci fu sempre il sospetto che questi due fossero eccezionali esponenti politici la cui identità andava protetta ad ogni costo.
Il sacrificio di Stefano CONDELLO e Vincenzo CARUSO, insigniti di Medaglia d’Oro al Valor Militare, alla Memoria, dimostrò con quale dedizione e quanta efficacia operavano i Carabinieri in quel tempo in Calabria. La stessa ricostruzione dello svolgimento dei fatti nel casolare di Razzà, circa l’azione di polizia giudiziaria esplicata dai due militari, fece piena luce sul loro eroico comportamento.
Per la prima volta nella provincia di Reggio Calabria si creava uno squarcio nella vita interna di una delle cosche mafiose più agguerrite, quella di Avignone di Taurianova. Dal groviglio, emergeva una realtà di un’associazione per delinquere operante, viva, dai molteplici interessi e dalle ramificazioni complesse nella società civile. Si comprese che l’impresa mafiosa era inserita anche nei subappalti del Quinto Centro Siderurgico, nelle tangenti e nei conseguenti investimenti immobiliari; infine, si scoperchiarono i collegamenti politici e si riconobbe la “rappresentanza romana”. Era la fine degli anni ’70. Sullo sfondo, la complessa geografia delle cosche della Tirrenica, della Jonica, dell’Aspromonte, della città di Reggio Calabria, la storia sanguinosa di ognuna, gli sviluppi e le proiezioni della ‘Ndrangheta verso il Nord, verso l’Europa, verso l’Australia, verso l’America, in tutte le sue variegate sfaccettature: sequestri di persona, traffico di droga pesante, riciclaggio di denaro sporco, spaccio di dollari falsi, contrabbando di armi, di preziosi e di sigarette
tratto da Mediterraneonline.it