Non siamo noi a dirlo ma basta aprire i giornali, leggere le news su internet e capire qual\’è l\’andazzo. Per quanto non si dica, per quanto lo Stato voglia farci intendere, sbagliando in modo madornale, la \’ndrangheta al nord è sempre più presente ed in particolar modo in Piemonte come la sentenza \”Minotauro\” ci ha dimostrato. Il problema non è solo la \’ndrnagheta, ma l\’ambiente di paura ed omertà che essa ha creato. A Chivasso, uno dei Comuni maggiormente interessati proprio da quella sentenza, la \’ndrangheta non esisterebbe ma si tratterebbe solo di quattro balordi. Ma per lo Stato Italiano la \’ndrangheta non è più un pericolo, o meglio è quello che vuole farci credere, perchè diversamente non si spiegherebbe il perchè della revoca della scorta a Pino Masciari ed il suo successivo ripristino a condizioni praticamente inesistenti, come se l\’aver denunciato e fatto condannare le più importanti famiglie \’ndranghetiste fosse alla stregua di un semplice atto di bullismo tra ragazzini!
‘Ndrangheta a Chivasso? “Macchè, solo quattro balordi”
-Gea Ceccarelli– “Non posso aiutarvi”. “Mi dispiace, chiedete a qualcun altro”. “Non esiste la \’ndrangheta, qui”.
Non siamo nel profondo della locride, ma a Chivasso, a una manciata di chilometri da Torino. Cittadina di circa 27mila abitanti, per 3.500 famiglie calabresi.
La loro storia inizia decenni fa, quando abbandonarono le loro terre natali per trovare fortuna al nord. Qui si stabilirono, durante i flussi migratori, e vi portarono la loro cultura, la loro arte e la loro dieta, quella mediterranea che tutto il mondo ci invidia. Ma non soltanto: assieme alle migliaia di persone per bene, si spostarono per lo stivale anche famiglie mafiose, che trascinarono la \’ndrangheta laddove, prima, comandavano i catanesi, Cosa Nostra.
“La mafia, a Chivasso, non c\’è; sono soltanto quattro balordi”.
Nessuno, a parole, ricorda quell\’episodio che, in città, fece tanto scalpore: era il 1987, sicari si introdussero all\’interno di un circolo privato e scaricarono venti colpi di P38 e di mitraglietta contro tre ragazzi: Salvatore Benfante, trentaduenne palermitano, Fortunato Verduci, ventitreenne di Reggio Calabria e Giovanni Marra, ventotto anni, anch\’ egli calabrese.
Fu il primo delitto di mafia a Chivasso. I tre, si ricostruì, volevano diventare capibastone di un clan nuovo, dopo la disfatta dei catanesi e dei calabresi, i cui boss erano finiti tutti in carcere dopo l\’omicidio del procuratore Bruno Caccia.
Da allora sono trascorsi tanti anni, l\’operazione Minotauro del 2011 ha confermato come la mafia, qui, esista eccome. Eppure, è come parlare di fantasmi, di extraterrestri: “Macché \’ndrangheta, sono tutte storie! Non li vedete, che stanno tutti in giro?”, ci redarguisce un signore, interpellato al riguardo. Come tutti gli altri, non vuole dire neanche il suo nome. Cerchiamo di obiettare che sì, gli imputati del processo Minotauro sono scarcerati, è possibile vederli a passeggio per la strada, ma sono condannati, soltanto in attesa della pronuncia definitiva.
Centotrenta, gli arresti nel chivassese, in quel 2011. Tra questi, anche Bruno Trunfio, ex assessore ai lavori Pubblici e vice segretario dell’Udc di Chivasso. Pochi mesi dopo, poi, i carabinieri portano a compimento una seconda operazione, “Colpo di Coda”: una ventina di persone finirono in manette con l\’accusa di essere affiliati alla locale della cittadina.
Il signore, non risponde, volta le spalle e se ne va.
Qualcun altro giustifica. E\’ storia antica: “Se non fosse per la \’ndrangheta, giù in Calabria morirebbero di fame, sono tutti poveracci”. Per aggiungere: “E\’ colpa dei piemontesi, con quella storia dell\’Unità d\’Italia,sono venuti e ci hanno massacrati”. Oppure: “In realtà è il nord che si arricchisce, facendo traffico con la criminalità del sud\”.
Una ragazza, con la garanzia dell\’anonimato, decide invece di raccontare qualcosa in più: “Lo sanno tutti che a Chivasso comanda la \’ndrangheta”, ci rivela. E\’ di origini calabresi, lei, ma non ha mai frequentato la comunità locale. Fa qualche nome, mai emerso in inchieste giudiziarie, famiglie che conosce, perché la città è piccola: “Sono tra i più influenti, qui…”, ci spiega, invitandoci anche a indagare sulle loro proprietà, per lo più locali ed esercizi commerciali.
Il ritratto che ne esce, è una città omertosa. Nessuno sa niente e nessuno vuole parlare. Chi lo fa, teme ritorsioni. Le recenti dichiarazioni del sindaco di Chivasso, d\’altronde, sono inequivocabili: lui, Libero Ciuffreda, fu eletto appena dopo lo scandalo Minotauro. Il Comune sarebbe stato sciolto per mafia, se non che l\’ex primo cittadino De Mori, eletto qualche mese prima, si dimise per motivi di salute. Nell\’ambito dell\’inchiesta della Procura era emerso che la \’ndrangheta aveva pesantemente “condizionato le elezioni comunali” che l\’avevano portato alla vittoria.
Così si tornò al voto, vinse Ciuffreda. Il quale, nel febbraio scorso, intervistato da Klaus Davi, raccontava di vivere, ormai, “controllato” dalle Forze dell\’Ordine per il suo impegno contro la \’ndrangheta, “missione” che gli è costata anche ritorsioni, sotto forma di atti vandalici alla sua auto.
“Stiamo provando a dare una svolta culturale con la Libera Università della legalità e con il festival della legalità”, ha spiegato ancora in una recente intervista a La Stampa. Pur precisando: “Se mi chiede se la ‘ndrangheta è finita, rispondo subito di no. Gli interessi delle famiglie si stanno spostando sugli esercizi commerciali e sulle sale scommesse”.
I settimanali locali lo hanno smentito: non vi è alcuna indagine in merito ai danni all\’auto e nessuna disposizione alle forze dell\’ordine di “controllarlo”. Per sostenere la propria tesi, il sito 12alle12, ha inoltre scritto: “Diciamo che, stando all’inchiesta Minotauro, sarebbe esistita a Chivasso una locale di ‘ndrangheta di serie \’B\’ collegate ad alcune famiglie calabresi (i Gioffrè-Santaiti, Pesce-Balocco e Tassone) che avevano come riferimento Pasquale Trunfio di Torrazza Piemonte.
Diciamo \’sarebbe esistita\’ perché stando ad un’altra inchiesta, della Procura di Milano, cioè di Ilda Bocassini, denominata \’Crimine\’ e, nello specifico, basandoci su una conversazione intercettata al Bar Timone di Giovanni Vadalà, in realtà, a Chivasso, pur essendoci un numero congruo di possibili affiliati, non esisteva una vera e propria struttura organizzata.”
Sarà: intanto, appena dieci giorni fa, la Corte di Cassazione ha depositato le motivazioni di cinquanta condanne ai boss imputati al processo Minotauro: in Piemonte, si legge, la \’ndrangheta “ripropone tutti gli indici del fenomeno mafioso calabrese”. Non solo: “è una mafia molto radicata e ciò è provato dalla gelosa protezione delle zone di influenza dei singoli locali da possibili invasioni altrui”.
Intanto, il febbraio scorso, quattro persone sono state arrestate per estorsione nei confronti del titolare di un\’azienda di panificazione, sempre a Chivasso. La minaccia era: “O consegni 50.000 euro o ti spariamo alle gambe facendoti saltare in aria l\’azienda”. A organizzare l\’estorsione, l\’ex socio della vittima, dopo aver reclutato, attraverso un amico, “calabresi che volessero fiancheggiarlo”.
E intanto c\’è chi, con “ingombranti” cognomi calabresi, in certe zone di Chivasso non può mettere piede. I motivi, ovviamente, sconosciuti. Mai li svelerà.
“I calabresi”, ci spiega un ragazzo, “non sono soltanto omertosi: sono anche ostili verso chi si interroga sul fenomeno \’ndranghetista. Non vi parleranno mai di questi fatti, negheranno tutto, è una comunità chiusa”. E forse è proprio questo che ha alimentato il pregiudizio nei loro confronti, investendo anche le famiglie oneste.
“E\’ normale che le inchieste giudiziarie sulla \’ndrangheta abbiano inciso sulla percezione di noi”, ammette al riguardo Tonino Micalizzi, presidente dell\’associazione calabro-piemontese, nata a Chivasso nel 2010 con l\’intenzione “di promuovere la Calabria sotto gli aspetti eno-gastronomici, del folcklore, del turismo, della cultura e dell\’arte, tutta la parte buona della regione”.
La stessa associazione organizza, ormai da undici anni la manifestazione “Calabria in Festa”, che si terrà, per quest\’edizione, dal 7 al 10 maggio. “Una festa che ogni anno attira a Chivasso tantissime persone, tutta la comunità di calabresi della provincia di Torino”, ha spiegato Micalizzi. “Ci sono partecipanti che provengono anche dalla Lombardia e dalla Valle D\’Aosta, in quanto invito, ogni anno, gruppi di folklore molto importanti: per quest\’edizione avremo in piazza Mimmo Cavallaro, rappresentante massimo della taranta. Essendo una manifestazione di piazza, poi, è aperta a tutti”.
Quest\’iniziativa, prosegue Micalizzi, riveste un\’importanza fondamentale proprio contro il pregiudizio contro i calabresi: “La mia ostinazione nel portare avanti, ogni anno -nonostante i tantissimi problemi sia dal punto di vista economico che da quello del lavoro immane che c\’è da fare per organizzare- questo evento, è finalizzata a contrastare il pregiudizio e permettere alla parte sana dei calabresi al nord di dimostrare che la Calabria è tutt\’altra cosa”.
“E\’ chiaro che, come in tutte le regioni, c\’è la parte malata”, ribadisce ancora il presidente dell\’associazione. “Noi cerchiamo di dimostrare di essere quelli sani. D\’altronde, io personalmente non ho nulla da spartire con \’quel genere\’ i calabresi\’”.
“E\’ comunque ovvio che, da parte dell\’amministrazione comunale, visto che in quelle inchieste vennero coinvolte persone di estrazione calabrese, proprio ben visti non credo che siamo”, ha precisato. “Nella mia associazione mi fanno le pulci un po\’ su tutto, ma visto che sono a posto, e ho tutto in regola, nulla consente al comune di bloccare questo evento”.
Tanto più che, fino all\’anno scorso, la festa aveva il patrocinio della Città di Chivasso. “Quest\’anno no, ma solo perché c\’erano un po\’ di pendenze dalla nostra associazione, ci sono stati problemi con il comune, e non ha ritenuto di concedercelo. Ora comunque tutto si è appianato e il comune ci mette a disposizione le strutture e ci viene incontro. Abbiamo comunque il patrocinio della Regione Piemonte e della Regione Calabria; va bene così”.
Eletto consultore della Regione Calabria nel nord d\’Italia dall\’ex governatore Giuseppe Scoppelliti e in procinto di essere nominato anche dal nuovo presidente Mario Oliverio, Micalizzi rivela di avere un “fortissimo” legame con la sua terra d\’origine. “Faccio anche parte del direttivo nazionale della Federazione Italiana Circoli Calabresi, che ha sede a Milano, e il nostro scopo è quello di coordinare le attività di tutti i circoli calabresi nel nord, svolgere attività di promozione della nostra regione ed essere di supporto ai presidenti nella gestione di eventi e manifestazioni”.
“In modo particolare”, conclude, “in vista dell\’Expo 2015, stiamo mettendo in cantiere molte iniziative in Lombardia, dove appunto il presidente della Federazione, Italo Richichi, ha scritto un libro sulla dieta mediterranea, nata a Nicotera tantissimi anni fa”.