Paolo Borsellino sapeva che sarebbe stato il prossimo e sentiva l’urgenza di portare più avanti possibile quella lotta senza confine che insieme all’amico e collega Giovanni Falcone avevano intrapreso ai danni di cosanostra e delle sue collusioni politico-istituzionali. “Devo fare in fretta: ora tocca a me”. Per questo in quei 57 giorni, dal 23 maggio al 19 luglio 1992, non si fermò mai. Lavorò senza sosta, freneticamente, consapevole di essere protagonista di una feroce lotta contro il tempo.
Lo fermarono con la violenza inaudita propria della criminalità organizzata, colpendolo sotto casa della madre, devastando lui e i suoi più intimi affetti.
Sono passati trentun anni dall’esplosione che uccise Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli ed Eddie Walter Cosina. Ma ancora oggi, dopo le immancabili passerelle di Stato, ma anche l’autentica indignazione, le lacrime vere, la rabbia genuina dei cittadini palermitani e degli Italiani tutti, aspettiamo ancora Giustizia.
“Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Aveva detto anche questo!