Il dato emerge da una ricerca realizzata dalla Banca di credito cooperativo Mediocrati e dall’Istituto Demoskopika. La maggior parte degli introiti derivano dalle estorsioni e dall’usura.
Ha volumi da manovra economica di governo il giro di affari raggiunto dalla ‘ndrangheta calabrese nel 2010: 5,4 miliardi di euro, da reinvestire fuori e dentro la regione. Non si presta ad equivoci il rapporto sull’economia criminale realizzato dalla Banca di credito cooperativo Mediocrati e dall’Istituto Demoskopika, presentato ieri. Il “core business”, per le ‘ndrine che operano dallo Stretto al Pollino, è sempre rappresentato dalle estorsioni e dall’usura: almeno tre miliardi di euro di proventi “sporchi”, infatti, provengono da lì. La parte rimanente, 2,4 miliardi, ruota intorno agli appalti pubblici. A pesare in modo preponderante sul tessuto economico è l’aggressività dell’azione intimidatoria: oltre un terzo degli imprenditori intervistati per la realizzazione della ricerca (32,6%) ne percepisce una crescente diffusione mentre il 27,2%, preferisce non pronunciarsi. L’incidenza della criminalità organizzata diviene devastante in una regione con un tessuto produttivo estremamente debole e da sempre dipendente dalla politica degli incentivi statali e dalla gestione dei flussi di finanziamento pubblico .”Basti citare – è scritto nell’indagine – i lavori di ammodernamento del tratto calabrese dell’autostrada Salerno-Reggio che hanno visto la malavita locale procurarsi la complicità dei direttori dei cantieri appaltati e la collusione con funzionari in relazione alle autorizzazioni di subappalti e alle varianti in corso d’opera”. Dalla ricerca viene fuori, inoltre, che più di un imprenditore su quattro, precisamente il 27,4%, dichiara di non sentirsi assolutamente al sicuro. Se a questi aggiungiamo il 50% di quanti sentendosi abbastanza sicuri fanno comunque rilevare che le attività criminali sono evidenti pur se piuttosto rare, si arriva ad un totale di 76,5% persone che non si sente completamente al sicuro. Solo per il 15,3% del campione, l’area territoriale in cui opera risulta molto sicura lasciando sottendere di non avere mai sentito parlare di attacchi criminali contro le imprese. A livello settoriale, il senso di insicurezza risulta molto diffuso soprattutto tra gli imprenditori agricoli (38,5%) e tra quelli del settore edile (33,3%), e in misura minore tra le attività dei servizi (17,4%). Per quasi l’80% degli intervistati, le aziende sono vittime di vessazioni, imposizioni o di reati di vario tipo. Furti (38,8%) danneggiamenti (15,9%) ed estorsioni (8,4%) sono i reati di cui si sente maggiormente parlare, ma non manca chi, fra gli intervistati denuncia forme nuove di controllo della criminalità sul sistema delle imprese. Un imprenditore su quattro, esattamente il 25,8%, dichiara che il fatturato della propria azienda sarebbe maggiore se potesse svolgere la propria attività in un contesto più sicuro e libero; di questi il 6% calcola che potrebbe aumentare del 5%, l’8,3% ritiene che ci potrebbe essere un incremento almeno del 10%, mentre l’11,5% del campione stima che la crescita potrebbe essere addirittura del 20% e oltre rispetto ai valori attuali. Il 52,5% del campione intervistato, infine, fa sapere che la criminalità non costituisce una reale e grave causa ostativa alla crescita del proprio giro di affari a cui si aggiunge il 21,5% di chi preferisce non rispondere o dice non di non sapere o volere fornire alcuna stima o valutazione. La quasi totalità, dei soggetti intervistati (84,4%) non sembra intimidita mostrando fermezza e volontà di non arrendersi e continuare a lavorare non considerando l’idea di trasferire o chiudere la propria attività. Contro un 5,8%, che sembra aver maturato l’idea di lasciare. “Nonostante gli sforzi compiuti dalle forze dell’ordine e dalla magistratura – afferma il presidente della Bcc Mediocrati, Nicola Paldino – si registra una scarsa propensione ad investire da parte degli imprenditori anche per la paura dei condizionamenti imposti dalla criminalità organizzata. Le organizzazioni criminali e mafiose, infatti, oltre a scoraggiare gli investimenti produttivi da parte dei privati contribuiscono al mantenimento di un’immagine negativa a livello nazionale ed internazionale dei nostri territori”. “L’usura e le estorsioni – ha detto il direttore di Demoskopika, Nino Floro – sono le più consolidate e note forme di pressione esercitate sulle attività imprenditoriali da parte della criminalità organizzata. Esse assorbono liquidità dalle imprese, riuscendo a generare flussi finanziari consistenti e paralleli a quelli legali”.
fonte: Il Giornale di Calabria