La ’ndrangheta è una mafia mondiale. Capace di parlare inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco e polacco. I suoi “ambasciatori” si sono insediati nelle città più importanti del Vecchio continente – Bruxelles, Amsterdam, Madrid, Barcellona, Rotterdam, Francoforte, Monaco di Baviera, Berlino, Marsiglia, Parigi, Londra – dove riciclano i denari accumulati con il traffico di sostanze stupefacenti. Il riciclaggio avviene rilevando esercizi commerciali, locali notturni, strutture ricettive, ristoranti. O, ancora, aprendo imprese che si occupano di costruzioni o pulizia. Lo schema attuato prevede l’impiego di “teste di legno” dalla fedina penale immacolata, o di società costituite in lussuosi studi notarili svizzeri o americani e sedi legali nei paradisi fiscali. Lo schema attuato per invadere l’Europa è quello già attuato in Italia con la graduale conquista di Milano, Torino, Como, Ventimiglia, Roma, Bologna. I mafiosi calabresi vestono all’ultima moda, conoscono le lingue straniere, chattano su internet, giocano in borsa e contano, sempre più spesso, sull’apporto significativo di importanti professionisti. Individuare e seguire i flussi di denaro è sostanzialmente impossibile, come difficilissimo appare riuscire a ottenere l’incriminazione e la condanna dei boss calabresi negli stati dell’Unione atteso che non esiste una normativa antimafia omogenea e sovrapponibile a quella in vigore in Italia. Un tema, quest’ultimo, su cui sta molto battendo da anni il procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri. Nessuno, meglio di lui, sa come gli ’ndranghetisti siano stati capaci di “colonizzare” non solo il Vecchio continente ma pure l’Australia e il Canada.
E il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, rilancia dal canto suo e dall’alto d’una indiscussa autorevolezza istituzionale, l’allarme. E lo fa nel corso del convegno “Trentaquattro anni dalla legge Rognoni – La Torre“, organizzato dalla Cgil. «La sfida è proprio questa – afferma Roberti – far capire che la criminalità organizzata non è solo un fenomeno italiano. Noi abbiamo combattuto il terrorismo isolandolo, possiamo combattere le mafie isolandole. Sono 200 anni che abbiamo questo fenomeno nel nostro paese, la ndrangheta è più forte in Piemonte e Lombardia piuttosto che in Calabria ma è fortissima “anche all’estero.»
Fingere di non capire, di non vedere, di non sentire la presenza di questa pericolosissima mafia italiana in giro per l’Unione, potrebbe alla fine rivelarsi letale per l’economia legale e la stessa democrazia continentale. Per questa ragione, a parere di Franco Roberti, è fondamentale «La Procura europea su cui la posizione italiana è nota e netta, ma non si fa strada perchè mancano nella cultura dei Paesi partner i presupposti che portino alla previsione di un magistrato europeo. La Gran Bretagna, ad esempio, si è rifiutata di inserire nel proprio ordinamento i principi della convenzione di Palermo.»
Si tratta di un documento prodotto su iniziativa della Nazioni unite che punta ad armonizzare gli ordinamenti interni di tutti i Paesi in tema di partecipazione ad associazioni criminali, riciclaggio di denaro sporco, corruzione e intralcio alla giustizia. Il Regno Unito, però, non vuol saperne…Dio salvi la Regina.
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