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Pubblichiamo l\’articolo che Luc Rinaldi ha scritto sulla vicenda di Pino per Malitalia.it.

L\’intervista è contenuta nell\’e-book \”Antimafia senza divisa\”, edito da Blonk.

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L’imprenditore che non può più lavorare

Secondo i dati dell’ultimo rapporto di SOS Impresa di Confesercenti ogni ora due imprese commerciali sul territorio nazionale chiudono a causa dell’usura. Un dato preoccupante che mostra come fare impresa oggi rimanga un miraggio. I condizionamenti delle mafie nelle imprese sono pesantissimi: dall’usura al racket, metodologie criminali che con il passare del tempo si sono ammodernate prendendo alla gola la classe imprenditoriale. I settori più colpiti sono l’edilizia e le attività commerciali. Scrive il Presidente Nazionale di Confesercenti Marco Venturi nell’introduzione del rapporto «in periodi di crisi, i soldi delle mafie, benché sporchi, fanno gola. Fanno gola a pezzi di finanza deviata, che offre riparo, riservatezza e professionalità nell’attività di riciclaggio. Fanno gola ad alcuni imprenditori senza scrupoli che pensano di realizzare facili business, fanno gola anche a pezzi, seppur limitati, del gotha imprenditoriale, persuasi che la strada della convivenza collusiva sia l’unica possibile per fare affari al Sud». Le modalità con cui le mafie si avvicinano alle imprese sono sempre più efficaci: dalla classica “messa a posto”, per evitare di vedersi i mezzi sui cantieri bruciati e ricevere ‘protezione’, alle assunzioni e alle forniture imposte a prezzi fuori mercato, fino allo strozzo di piccole attività commerciali. Anno dopo anno le mafie si sono impossessate di una fetta consistente dell’economia nazionale, in particolare nel mondo delle imprese edili pubbliche e private. Le cronache degli ultimi anni dimostrano come anche al nord le imprese debbano fare i conti con le ingerenze della criminalità organizzata che arriva ad infiltrarsi e a colonizzare anche le commesse delle pubbliche amministrazioni, aggiudicandosi appalti al massimo ribasso grazie a materiali scadenti, manodopera in nero e imprenditori più o meno grandi a volte compiacenti.
In Calabria la pressione della ‘ndrangheta sulle imprese e le infiltrazioni negli appalti sono all’ordine del giorno e chi non si assoggetta è oggetto di danneggiamenti e intimidazioni che spesso portano l’imprenditore minacciato a pagare il conto per “lavorare con serenità”, con la protezione degli ‘ndranghetisti del territorio.
Giuseppe Masciari, per gli amici Pino, quando era imprenditore edile ha deciso di non piegarsi e denunciare, e agire nel solco della legalità.
Lo ha fatto venti anni fa quando nessuno parlava di ndrangheta, quando la ‘ndrangheta nessuno la conosceva.
Pino Masciari, parte da molto lontano quando racconta la sua storia, dalla vecchia azienda del padre di cui si ‘innamora’, fino ad aprirne una propria. Giorno dopo giorno l’impresa edile di Masciari, da Serra San Bruno (VV), cresce e si espande anche all’estero e nella sola Calabria fa lavorare più di duecento persone iniziando a partecipare anche a commesse pubbliche. La ‘ndrangheta si presenta nei cantieri, chiedendo il 3% sulla commessa. A chiedergli il 6% su quelle commesse saranno anche uomini delle Istituzioni. Masciari non ci sta e denuncia, e denuncia quando di ‘ndrangheta si parlava troppo poco, l’associazionismo era inesistente e il legislatore nemmeno prevedeva che a far pervenire denunce sulla criminalità organizzata fosse un normale cittadino. Si legge agli atti della Commissione Parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata: “Il Masciari racconta di aver riferito all’Autorità giudiziaria ed alle Forze dell’ordine delle intimidazioni e delle richieste estorsive ricevute, ricevendo in cambio solo consigli sull’opportunità di non esporsi con la denuncia dei fatti, per gli eccessivi rischi cui conseguentemente sarebbe stata esposta tutta la famiglia (il Masciari ed i suoi otto fratelli). A partire dal 1990, Masciari tentò di sottrarsi alle pretese dei politici, ma non tardarono ripercussioni con pregiudizievoli effetti di natura economica sulle sue aziende; gli stati di avanzamento dei lavori gli venivano pagati, infatti, con notevoli ritardi ed a ciò si aggiunsero le difficoltà frapposte dalle banche nella concessione del credito. Si rifiutò di corrispondere alle richieste estorsive avanzate dalla criminalità organizzata; ciò causò una lunga serie di conseguenze che giunsero a sconvolgere la vita dell’intera famiglia (furti, incendi, danneggiamenti a danno dei mezzi di lavoro, minacce personali, telefonate minatorie, colpi d’arma da fuoco, fino al ferimento del fratello, avvenuto nel mese di aprile del 1993)”.
Nel 1994 Pino decide di licenziare gli ultimi 58 dipendenti e chiudere l’impresa. Denuncia al Comando della Stazione dei carabinieri di Serra San Bruno e va alla DDA di Catanzaro : fa nomi, cognomi e circostanze, incardinando processi, in cui Masciari si è sempre recato a testimoniare, che hanno portato a decine di condanne per gli ‘ndranghetisti coinvolti tra cui anche un alto magistrato ed ex consigliere di Stato condannato per concussione.
La vita di Masciari non è più la stessa dopo le denunce e per l’ alto rischio di vita lui e la sua famiglia vengono inseriti in un programma di protezione e il 17 ottobre 1997 di notte fatti fuggire da Serra San Bruno con la moglie e i due figli piccoli. Oggi, a 52 anni, non ha più le sue imprese. Pino e la moglie Marisa non si perdono d’animo e scrivono un libro che è più di una testimonianza, “Organizzare il coraggio” è il titolo (ADD Editore), < >.

Dottor Masciari, per raccontare la sua storia dobbiamo tornare molto indietro, addirittura agli anni ‘80. Come è cominciato tutto?

Fin da piccolo ho voluto seguire le orme di mio padre, innamorato del lavoro che svolgeva, e spesso dopo la scuola, lo andavo a trovare sui cantieri. Alla morte di mio padre ho iniziato a portare avanti l’azienda, fino ad arrivare a realizzare il sogno di avere una mia impresa edile e di essere un imprenditore conosciuto in tutta Italia. Così ho portato avanti la sua impresa come amministratore e parallelamente ho dato vita alla mia azienda, con cui ho iniziato a lavorare con la Pubblica Amministrazione. A quei tempi, metà anni ‘80, di criminalità organizzata si parlava poco, anzi non se ne parlava proprio.
In pochi anni la mia azienda è cresciuta in dimensione e fatturato, e ho mantenuto continuamente aggiornati dal punto di vista professionale i miei dipendenti, dai contabili a chi lavorava nei cantieri. L’azienda continuava a crescere, e a un certo punto arrivò la ‘ndrangheta: è racket e mi rifiutai di pagare cercando lo Stato e le istituzioni per poter continuare a svolgere in libertà la mia attività imprenditoriale. E’ l’articolo 41 della nostra Costituzione a sancire la libertà di iniziativa economica su tutto il territorio nazionale e dovrebbe essere cura dello Stato garantire una sicurezza.

Ma a questo punto Pino Masciari non si è tirato indietro

Non mi sono tirato indietro, ho iniziato a cercare le istituzioni e ho denunciato quanto mi accadeva all’Autorità Giudiziaria. Tutti mi dicevano che si rischiava la vita, perché le collusioni con questi signori che allora nemmeno venivano classificati come ‘ndranghetisti erano molto forti. Tutto questo accadeva in un contesto territoriale in cui dominavano le faide, sanguinosissime in Calabria, e gli imprenditori erano terrorizzati da tutti quei morti.
Non c’erano forme di prevenzione o di tutela per commercianti e imprenditori.
Vede, con la caduta del muro di Berlino la ‘ndrangheta si trasforma: capisce anche che non può continuare a esporsi con i sequestri di persona che sono poco remunerativi e così fa il suo ingresso nel mercato globale. Lo Stato non è pronto a fronteggiare questa situazione in quanto questa organizzazione è differente perchè silenziosa rispetto alle altre mafie.
Appare solo dopo l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti con cui la ‘ndrangheta fa un autentico favore a Cosa Nostra eliminando il magistrato che aveva in mano le sorti del maxiprocesso di Palermo.
Io non ho mai pagato perché lo ritenevo e lo ritengo a tutt’oggi normale, anche solo per il rispetto che mio padre mi ha insegnato nei confronti della legge, nell’etica di fare impresa e della democrazia. E siccome abito in un Paese che “esporta” democrazia non accetto che nel mio paese si possa essere schiavi delle organizzazioni criminali. E’ stata una scelta di libertà nel rispetto delle leggi, un atto che dovrebbe essere considerato normale.

Dopo le denunce cosa succede?

Dopo le denunce lo Stato inserisce me e la mia famiglia sotto protezione, lontano dalla Calabria. Oggi fortunatamente le cose sono cambiate: c’è più consapevolezza del fenomeno e lo Stato e la Società civile sono più preparati a raccogliere denunce di questo tipo e lasciano meno solo l’imprenditore che denuncia.
Al tempo delle sue prime denunce non esistevano particolari tutele. Il legislatore aveva pensato ai pentiti, ai “collaboratori di giustizia”, ma non a chi avrebbe deciso di denunciare senza essere organico alle organizzazioni criminali, cioè i “testimoni di giustizia”
Proprio così. Diciamo che quella prima legge sui collaboratori di giustizia fu un passo importante nel contrasto alla mafia. Per l’ imprenditore che denuncia però non c’era una legge, sia sotto il profilo della protezione che sotto quello lavorativo. Così fui costretto a scappare da Serra San Bruno e nel 1997 per la prima volta sentii parlare di Servizio Centrale di Protezione. Vennero a prenderci la notte del 17 ottobre del 1997 i carabinieri per trasferirci in una località segreta del nord Italia. Da quel momento, io, mia moglie e i miei figli siamo diventati ‘nessuno’. Per anni siamo stati solo ombre e persone senza alcun ruolo sociale familiare o altro , nascosti e seppelliti vivi. Poi con la legge 45 del 2001 si è cercato di istituire la figura del “testimone di giustizia”, che prima non esisteva.

Da quel momento in poi inizia a vivere una vita che forse non aveva scelto

No, quella dell’esiliato non era una vita scelta né da me, né da mia moglie che aveva uno studio dentistico. Da lì iniziamo a vivere una vita nascosta, senza poter mai comparire e quasi scordarsi il proprio nome e cognome, cosa che hanno dovuto fare anche i miei figli. Tutto per fare qualcosa che dovrebbe essere normale. Invece a nascondermi sono stato io, e non i mafiosi.
E’ una sconfitta per lo Stato il fatto che io sia senza le mie aziende e non sia rientrato nel mercato dell’imprenditoria: essere privato del lavoro è come essere privato della vita.
In questi anni sono stato anche privato degli affetti: pensi che i miei figli non hanno mai conosciuto né vissuto le famiglia di origine. Stare chiuso dentro casa per non farsi vedere, per essere al sicuro, non è vita, almeno non quella che avevo scelto io. Questo comporta isolamento sociale, abbandono, cose che uccidono una persona; perché vede, le persone non si uccidono solo con un colpo di pistola alla testa.
Nascondere chi denuncia per non esporlo al pericolo non ha senso. Chi denuncia va esposto quale esempio da imitare e non nascosto e privato da ogni sua funzione e attività.

Ora Pino Masciari è fuori dal programma speciale di protezione

Si, dall’aprile 2010 io, mia moglie e i miei figli siamo fuori dal programma, anche se continuo a spostarmi con la scorta. Partecipo ai numerosissimi convegni e dibattiti cui sono invitato, da istituzioni, scuole, università e associazioni, occasioni in cui la mia testimonianza di vita ha un ruolo fondamentale nella diffusione della cultura della legalità. Tali incontri sono coordinati dagli “Amici di Pino Masciari”, che animano e seguono quotidianamente e costantemente il blog www.pinomasciari.it e i miei spostamenti . Loro sono stati la mia vera risorsa , la mia scorta civile e sono persone meravigliose che si sono agglomerate intorno a me riconoscendosi nella mia battaglia a difesa dei valori di legalità e giustizia. Oggi io cerco di costruire giorno dopo giorno legalità.
Oggi io, mia moglie e i miei figli abbiamo una nostra dimora e finalmente abbiamo potuto svuotare quegli scatoloni che ci siamo portati dietro in tutti questi lunghi anni durante i nostri spostamenti nelle località segrete, scatoloni che non avevamo mai aperto, quasi a voler difendere il ricordo di ciò che era prima la nostra vita fatta di passione per il lavoro e calore familiare.

Ora anche gli imprenditori lombardi hanno il loro da fare per limitare le ingerenze della criminalità organizzata, senza poi parlare del piatto ricco di Expo2015

Dice bene lei, è un film già visto: non c’entra solo Expo2015. Mi vengono in mente per esempio gli Arena di Isola Capo Rizzuto, che con le stesse modalità in cui operavano in Calabria, sono entrati anche nei cantieri di Milano e del nord Italia.
Così in questi anni, mentre io ero tenuto nascosto, questi signori prosperavano accumulando ricchezze e radicandosi dappertutto come una malattia.
Io dico questo agli imprenditori lombardi: al sud ci veniva imposto questo condizionamento, le leggi dell’antistato erano più forti di quelle dello Stato. Al nord forse non è ancora così.
Oggi non ha più senso parlare di infiltrazioni, ma di radicamento e il radicamento avviene quando lo si permette. Intanto l’economia si corrode e a questo punto la colpa è un po’ di tutti noi e delle istituzioni che non hanno avuto la forza per ostacolare il fenomeno.

Pino Masciari rifarebbe daccapo tutto quello che ha fatto, sapendo di dover perdere tutto?

Io ogni giorno rifaccio quello che ho fatto. Ma non mi sento affatto straordinario per questo: credo fermamente di dover rispecchiare la normalità di questo Paese. Gli anormali sono quelli che pagano e quelli che vivono nell’illegalità e di illegalità. Però qualcosa funziona al contrario e allora le persone per bene vengono accantonate ed esiliate, come le migliaia di vittime di mafia che hanno scontato prima l’isolamento e poi l’abbattimento anche fisico. A questo punto mi viene quasi da dire che la parte buona dell’Italia si trova in minoranza e che la criminalità organizzata nel frattempo, accumulando ricchezze pressoché incalcolabili, può prendere il sopravvento sulla società civile.

Lei e sua moglie Marisa avete scritto un libro dal titolo “Organizzare il coraggio”. Cosa vi ha spinto a raccontare la vostra storia?

Inizialmente il libro non lo volevo scrivere, poi la rete degli “Amici di Pino Masciari”, in primis Davide Mattiello, autore de “La mossa del riccio” mi hanno convinto. Vede ci sono stati momenti in cui probabilmente morire sarebbe stata la cosa più semplice da fare, vista la sofferenza, la paura e la tristezza che ho dovuto sopportare. Se non fossi andato avanti con ostinazione sarei stato uno sconfitto, e la stessa eredità di sconfitta l’avrei lasciata ai miei figli. C’è stato un momento in cui ero a fondo del pozzo, ma poi gli amici di Pino Masciari in quel pozzo ci sono entrati e mi hanno tirato fuori anche chiedendomi di scrivere questo libro. Libro che riporta tutte le battaglie mie e della mia famiglia, sempre cercando il rispetto di leggi e istituzioni. E’ una storia vera, raccontata per provare a far partire una rivoluzione culturale e non darsi per vinti. Se le mafie hanno saputo organizzarsi allora noi dobbiamo diventare Stato applicando le nostre leggi nel rispetto della nostra Costituzione. La speranza è che un giorno tutti riusciremo a essere normali in questo Paese, e io continuerò a fare quello che faccio per me, per i miei figli, che un domani saranno cittadini. In questa battaglia bisogna essere uniti, come lo è l’Italia nella sua Costituzione.

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