Non bastano più le dita di una mano, né di due per contare il numero di donne che quasi quotidianamente subisce violenza da parte di un uomo (il più delle volte il proprio uomo) rischiando la vita o, nella maggior parte dei casi, perdendola. Uomini che non trattengono la rabbia davanti alle scelte delle donne e reagiscono. Reagiscono con la violenza. Una violenza che non trova giustificazione e neanche giustizia. L’ennesimo caso a Crotone. A Cirò Marina lei, poco più di vent’anni, decide di chiudere il fidanzamento ufficiale facendo saltare anche il matrimonio, prossimo. Lui ultratrentenne reagisce e la massacra. Ad ogni parola un pugno, uno schiaffo, un calcio. E così lei finisce in coma farmacologico. I genitori però non denunciano «Che gli fanno all’ex fidanzato? Non gli fanno niente! Io adesso devo curare la mia bambina… ha poco più di vent’anni, me l’ha distrutta». Un senso di sfiducia verso la giustizia che non condanna. Ma bisogna denunciare per evitare che altre donne subiscano lo stesso trattamento. Per fermare la violenza. Proprio il 28 maggio la Camera ha approvato la Convenzione di Instabul. Anche se in base a quanto stabilito dal trattato serviranno le ratifiche di altri cinque Stati prima che la disciplina internazionale possa entrare in vigore. E’ comunque un primo passo verso il cambiamento. Basti pensare che la Convenzione di Istanbul prende in considerazione una serie di comportamenti violenti nei confronti delle donne e impone agli Stati di punirli, il più delle volte penalmente. Vengono elencati lo stalking, la violenza fisica, lo stupro, il matrimonio forzato, le mutilazioni genitali, l’aborto o la sterilizzazione forzati e le molestie sessuali. Gli Stati inoltre devono prevedere il risarcimento delle vittime in ogni caso (come estrema ratio paga lo Stato) e la possibilità, in caso di matrimonio forzato, di invalidare l’unione senza oneri eccessivi per chi denuncia. E’ previsto anche un articolo con cui si obbligano gli Stati a vietare che nei processi penali si possano invocare come scusanti «cultura, usi e costumi, la religione, le tradizioni o il così detto onore», anche se ancora oggi nel tessuto sociale sono elementi che faticano a scomparire. Più attuale e di fondamentale importanza la disposizione che impone agli Stati di «vietare i metodi alternativi di risoluzione dei conflitti, tra cui la conciliazione e la mediazione», per tutte le forme di violenza oggetto della convenzione. La gravità dei comportamenti è tale da necessitare sempre e comunque un processo e, inoltre, esigenze di tutela anche psicologica della vittima sconsigliano di ricorrere a procedure che richiedano un accordo tra le parti in causa. La Convenzione di Instabul apre uno spiraglio di Speranza e di luce nella lotta alla violenza contro le donne. Nella lotta per il riconoscimento della donna quale essere umano di pari dignità dell’uomo. Lo Stato siamo noi e non dobbiamo dimenticarlo. Il cambiamento parte da noi stessi.
FONTE: http://www.ilquotidianoweb.it/news/cronache/713437/Le-lo-lascia–lui-la.html