Curioso come molte battaglie di cui abbiamo letto e in cui vediamo scontrarsi fazioni caratterizzate da una netta sproporzione si risolvano poi con la vittoria di quelli che in tutti i betpoint di oggi e di ieri si sarebbero dati per perdenti.
Nei libri d’avventura ciò è facilmente giustificabile con l’intento di rendere quel brivido unico di paura mista ad eccitazione per la sfida, ma quando ci spostiamo dalle saghe fantasy ai documenti storici, non possiamo che stupirci di fronte all’immensa potenza dell’Impero Persiano che cade sotto l’intelligenza di Milziade e la tattica di Atene, sostenuta semplicemente dalla piccola Platea, troppo vicina per restare indifferente, la stessa capitale della cultura greca poi, a sua volta, colpita duramente dall’apparentemente facile preda di Siracusa. Da qui ai grandi Stati Uniti, messi in ginocchio dal nazionalismo e dalla conoscenza del territorio del più povero e male armato Vietnam, il passo è breve. Eppure, benché non determinante, la legge dei numeri dovrebbe contare pur qualcosa quando parliamo del certo autorevole milione di persone coinvolte nella mafia che nel nostro Paese si collocano in un contesto, però, di cinquantanove milioni di persone estranee alla criminalità organizzata.
Ma, come oggi, in un dibattito tenutosi all’interno del nostro Liceo Classico “Publio Virgilio Marone” di Gioia del Colle, ci ha detto Pino Masciari, a rendere tanto forte la realtà del racket non è solo la schiera di quanti detengono le redini di traffici e corruzioni. È anche l’omertà di tutti noi, portatori sani di questo infestante morbo entrato in circolo sotto forma di paura e reticenza. Ciò si traduce altresì con il farne il gioco, e ancor più col finire ulteriormente sotto il loro giogo.
Lo sa bene, l’ex-imprenditore calabrese, che ha scontato un sì caro fio per aver denunciato la ‘ndrangheta e gli agganci da essa mantenuti nell’ambiente politico. Ha stamane ricordato come fu costretto, il 17 ottobre 1997, a fuggire con la moglie e i bambini per entrare in un programma di protezione speciale che egli stesso afferma esser consistito quasi in un esilio, con, nel 2004, la notifica ufficiale di non poter ritornare nella sua regione, seguita tre mesi dopo dalla sospensione del programma di protezione.
Ma dopo nove anni in cui aveva badato a tenere il suo viso e la sua vicenda lontani dalla conoscenza del pubblico e in cui la mafia, con l’appoggio delle istituzioni, aveva provveduto a far chiudere tutte le sue imprese edili, nel 2006 finalmente Pino Masciari, con l’aiuto di don Luigi Ciotti, capì che poteva e doveva parlare, tornare a essere costruttore, questa volta di COSCIENZE.
E così, definito dal procuratore generale Pier Luigi Vigna “il principale testimone di giustizia italiano”, intraprese quel progetto di diffusione della sua storia, facendosi teste di un’ideale di libertà e onestà nelle aule delle scuole oltre che in quelle di tribunale, nelle piazze e per le strade, tra la gente che piano piano cominciò ad appoggiarlo. Egli stesso dice: “Ero una voce tra le tante, una goccia sola, ora siamo un mare intero”. Insomma, Gutta cavat lapidem, e lui ha cercato con le sue parole e i suoi gesti di erodere quel muro di dimenticanza e cecità del popolo dinnanzi alla corruzione dell’economia e di una classe politica anch’essa ripiegata su se stessa e sui propri interessi, il tutto ovviamente barcamenandosi per sopravvivere agli attentati tesigli dalla ‘ndrangheta e ai boicottaggi dello stesso programma di protezione, che spesso lasciava ampio respiro a situazioni di pericolo per la sua persona.
E a chi gli chiede se non rimpiange per sé e per i suoi figli una “vita normale” egli risponde “Certo, ma non se la normalità significa cedere alla mafia”.
Spogliatosi dei panni dell’eroe e dell’oratore, oggi ci siamo trovati di fronte al Pino Masciari uomo, sognatore. Al Pino Masciari idealista, che crede che il dolore che lo ha visto protagonista, insieme con i sacrifici a cui ha dovuto sottoporre anche la sua famiglia, possa esser ripagato dal trionfo dei valori per cui ha ritenuto valido combattere e mettere a repentaglio la propria ricchezza e incolumità. Giacché egli, ricordando le parole di Paolo Borsellino “È bello morire per ciò in cui si crede: chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”, ritiene il sacrificio di se stessi, come quello di Leonida e dei suoi soldati, un prezzo equo in cambio di una speranza per il futuro, della consapevolezza che la battaglia contro la criminalità organizzata è tutt’altro che persa in partenza. E non lo sarà, fintantoché continueranno a esserci persone come lui e come gli “Amici di Pino Masciari”, pronte a scommettere sulla vittoria della giustizia.
Maria Natile Martino, Liceo Classico “P. Virgilio Marone” Gioia del Colle
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