Due bar, un distributore di carburante, tre alloggi e due garage, una villa-fortino e 120 mila euro custoditi su otto conti correnti bancari. E’ il tesoretto della criminalità organizzata sequestrato ieri mattina dai finanzieri del Nucleo di polizia tributaria, impegnati sul fronte finanziario dell’operazione «Minotauro» che ha decapitato la ‘ndrangheta in Piemonte, ma anche nei controlli sui patrimoni dei personaggi già condannati per mafia.
A Torino è toccato a Rosario Grillo, 53 anni, legato al clan di Nitto Santapaola, riuscito a costruire una villa abusiva (divisa in tre palazzine, protetta da muro di cinta e sorvegliata da tre telecamere) con finiture di lusso e tecnologia a profusione su un terreno agricolo di 2 mila metri in strada del Villaretto 68. In mezzo al cortile, c’è pure una statua di Gesù Cristo alta quasi due metri. Secondo la legge, i condannati per reati di mafia devono comunicare allo Stato gli incrementi di reddito superiori ai 10 mila euro. La villa è stata valutata poco meno di un milione. Nell’eventualità di una condanna per questa mancata comunicazione, oltre al carcere per Grillo scatterà anche la confisca dei beni sequestrati.
E poi, ci sono i sequestri alla ‘ndrangheta. Prima di tutto i due bar, il «San Michele» in corso Regina Margherita 105 a Volpiano e «Il Timone» in via Caduti della Libertà 43 a Chivasso. Entrambi hanno ospitato riunioni delle cosche, in parte registrati dalle microspie piazzate dagli investigatori del Reparto operativo dei carabinieri. Due incontri organizzati a Volpiano (il 6 e il 25 settembre 2008) e altrettanti a Chivasso (5 aprile 2008 e 30 ottobre 2009), dove è avvenuta anche la cerimonia di attribuzione del grado di «trequartista» a Salvatore Pititto.
Il «Bar San Michele» è intestato a Simona Callipari, moglie di Antonio Agresta, considerato il boss della cosca di Volpiano; proprietaria de «Il Timone» è Natalina Vadalà, figlia di Giovanni, legato alla cosca Gioffrè-Santaiti. I finanzieri hanno anche messo i sigilli a un alloggio con garage a Volpiano (proprietà attribuita alla famiglia Agresta), ad altri due con altrettanti box a Chivasso (famiglia Vadalà) e a un distributore di carburante sulla strada provinciale 222 per Castellamonte attribuito a Antonino Versaci, affiliato alla «Bastarda», come è stata definita l’organizzazione criminale non ancora riconosciuta dalle cosche calabresi. E ancora, i soldi. Centoventimila euro lasciati sui conti correnti, sfuggiti alla prima ondata di sequestri dell’operazione «Minotauro». Ma quello, era solo l’inizio.
tratto da La Stampa