Il ruolo di capo indiscusso della cosca di \’ndrangheta ricoperto da Francesco Pesce e\’ stato suggellato dal padre, Antonino Pesce, in una lettera indirizzata alla madre del boss arrestato ieri a Rosarno. Nella missiva l\’anziano capostipite della cosca, ormai detenuto da diversi anni, raccomandava alla moglie di dire ai suoi fratelli di lasciare tranquillo e rispettare le decisioni di Francesco in quanto questi avrebbe pensato a \”tutta la famiglia\”. Francesco Pesce, inoltre, come emerso dall\’operazione \’All Clean\’, compiuta dai carabinieri e dai militari della Guardia di Finanza, che ha portato al sequestro di beni per un valore di 200 milioni di euro, rappresentava anche il volto imprenditoriale della propria cosca.
Era nascosto in un bunker ricavato nel cortile dell\’azienda “Demol Sud”, che opera nel settore delle autodemolizioni. Francesco Pesce, inserito nella lista dei “latitanti pericolosi” stilata dal Ministero dell\’Interno, era ricercato dall\’aprile del 2010, ma non si era mai spostato dalla sua Rosarno. Dove, a soli 31 anni, sarebbe diventato il reggente della potente cosca della Piana di Gioia Tauro. Figlio del boss ergastolano Antonino Pesce, “Cicciu Testuni”, così è chiamato negli ambienti criminali, si nascondeva in un rifugio di 40 metri quadrati tra cucina, bagno e camera da letto, provvisto di aria condizionata, collegamento internet, televisione con parabola e un sofisticato impianto di sorveglianza. Al quale si accedeva mediante una botola azionata da un meccanismo elettro-pneumatico attivato da un telecomando.
E lì che ieri sera hanno fatto irruzione gli uomini del Ros, del Comando provinciale di Reggio Calabria e dello squadrone eliportato cacciatori, arrestandolo insieme al titolare della “Demol Sud” Antonio Pronestì, 44 anni, accusato di favoreggiamento della latitanza del boss con l\’aggravante della modalità mafiosa. Ed è lì che gli investigatori hanno trovato alcuni fogli di carta che Pesce ha tentato invano di distruggere e sui quali aveva scritto dei messaggi per gli affiliati della cosca, ora al vaglio degli inquirenti.
Francesco Pesce, accusato di associazione mafiosa e molti altri delitti, era sfuggito all\’arresto nell\’operazione denominata “All Inside”, scattata il 28 aprile del 2010 al termine di un\’indagine della Dda di Reggio Calabria che aveva fornito lo spaccato degli assetti criminali esistenti a Rosarno. Focalizzando l\’attenzione proprio sui Pesce, una delle più importanti cosche presenti sul territorio, con ramificazioni di carattere nazionale.
Gli investigatori, coordinati dai pm Roberto Di Palma, Adriana Fimiani, Giuseppe Bontempo, Alessandra Cerreti e Stefano Musolino, erano riusciti a penetrare nelle dinamiche criminali della cosca e nei suoi equilibri anche grazie ad una serie di colloqui intercettati tra i principali esponenti del sodalizio. Tra questi proprio le conversazioni registrate nel carcere di Secondigliano tra il boss Antonino Pesce e il figlio Francesco, dove è il primo ad assicurarsi che vengano seguite con rigore le regole dell\’organizzazione criminale.
“Vedi che queste parole non devi scordarle – è la voce del capo indiscusso della cosca, rivolto al giovane – : quel vecchio una volta li ha chiamati, a tutti al bosco. E ve lo ha detto mio padre, vi ha avvertito che quello che se ne è andato ha lasciato dignità, onestà e ammirazione di tutti e noi la dobbiamo portare avanti.…”. In un altro passaggio Antonino Pesce avverte figlio e nipote: “Ciccio tu la devi smettere… tu pensa che io ho la possibilità di fare venire la fine del mondo….io in ogni paese ho fatto un favore…(inc)…ogni paese…uno a paese ce l’ho sai che faccio venire …la fine del mondo …non c’è niente per nessuno”. Poi, rivolto soltanto al figlio: “Quello la sai cos’è per me …quello …(inc…. insieme …quello per me è , no lui per me, io per lui, no lui per me, io sono come Gesù Cristo per lui …\’mancu ai cani signori\’, quello può avere tanta fiducia di me…”.
Le parole di Antonino Pesce e le indagini degli investigatori avevano restituito il quadro di una cosca pienamente operativa e con una notevole potenza economica. Che i giovani rampolli erano riusciti a mantenere grazie anche ai consigli che il mammasantissima elargiva dal carcere, da dove risolveva anche i conflitti interni al sodalizio richiamando l\’attenzione sull\’elemento più importante della tradizione ‘ndranghetistica: la famiglia.
Ieri, dopo essere stato arrestato, Francesco Pesce è stato trasferito nelle camere di sicurezza del Comando provinciale dei carabinieri a Reggio Calabria, dove ha trascorso la notte senza mai profferire parola. Questa mattina invece, ai Carabinieri che lo hanno prelevato per trasferirlo in carcere, ha detto sorridendo: “Sono diventato un personaggio\”.
articolo di Monica Centofante tratto da AntimafiaDuemila