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La Dia di Catanzaro ha confiscato beni per 60 milioni di euro riconducibili a Giuseppe Prestanicola, di 58 anni, di Soriano Calabro, considerato imprenditore di riferimento della cosca Mancuso di Limbadi. Tra i beni sequestrati figurano 140 tra appezzamenti di terreno, appartamenti e fabbricati, 90 veicoli, numerosi conti correnti e cinque imprese, due delle quali operanti nel settore del calcestruzzo. Prestanicola, nel 2009, era stato arrestato con l’accusa di avere consentito l’infiltrazione della cosca Mancuso negli appalti per l’ammodernamento dell’autostrada A3.

Articolo correlato Domenico Salvatore (Mediterraneonline) del 30 luglio 2009:

VIBO VALENTIA- Il personaggio di cui si parla in questa storia, secondo le forze di polizia, coordinate dalla magistratura, (DDA di Catanzaro diretta dal procuratore capo Antonio Vincenzo Lombardo) sarebbe la classica “testa di legno” dei Mancuso; il clan egemone del vibonese. Vi parleremo perciò dei Mancuso, in sintesi e delle disposizioni legislative di lotta alla mafia, sempre in sintesi. La lotta alla ‘ndrangheta si è mossa sul binario legislativo sin dagli anni sessanta.  Il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Ufficio per il Coordinamento e la Pianificazione delle Forze di Polizia, non salta fuori, di certo, come un fungo dal bosco. Dalla seconda metà degli anni 60, in considerazione della recrudescenza di manifestazioni criminali compiute da associazioni di stampo mafioso e terroristico, prese corpo l’idea di procedere ad una revisione organica dell’ordinamento della Pubblica Sicurezza. A fronte dei diversi disegni di legge nel frattempo presentati il Governo affrontò, nel 1979, la complessa e delicata materia con una propria proposta che, dopo aver impegnato due legislature, venne approvata nel 1981 con la legge “121″.Il Governo, tuttavia, considerò, già alla fine del 1979, l’indifferibilità di individuare un modulo organizzatorio idoneo ad evitare dispersioni di risorse o duplicazione di sforzi e procedette a stralciare, dalla più ampia riforma dell’Amministrazione della Pubblica Sicurezza, il tema del coordinamento delle Forze di Polizia.
Con decreto legge 15.12.1979, n. 626, convertito in legge 14.2.1980, n. 23, furono istituiti il Comitato Nazionale dell’ordine e della sicurezza Pubblica, con funzioni di consulenza del Ministro dell’Interno, ed un “Ufficio” diretto dal “Capo della Polizia o da un suo delegato”, “ai fini dell’attuazione delle direttive e degli ordini impartiti dal Ministro nell’esercizio delle attribuzioni di coordinamento e di direzione unitaria in materia di ordine e sicurezza pubblica”.Ed ora occupiamoci dell’imprenditore, Giuseppe Prestanicola, 47 anni di Soriano, detenuto. E’ stato arrestato nel febbraio 2009; nell’ambito di una indagine della Dda di Catanzaro su presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori di ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria.  Dagli accertamenti è emersa, inoltre, la sproporzione tra il patrimonio dell’imprenditore, le attività svolte ed i redditi che sono stati dichiarati. I beni sequestrati, insieme alle sette aziende, consistono in 193 unità immobiliari (tra appezzamenti di terreno, appartamenti ed altri fabbricati), 113 veicoli, numerosi conti correnti, per un valore complessivo, appunto, di circa 60 milioni di euro. Il 27 Febbraio 2009, l’impresario  Giuseppe Prestanicola era stato fermato dai carabinieri del Ros lungo l’autostrada, nella zona di Lamezia Terme. Prima di lui  erano finiti in manette Salvatore Mazzei e Antonio Chindamo. Con l’accusa di concorso in associazione mafiosa ed estorsione aggravata.  La Procura di Catanzaro, diretta dal procuratore capo Antonio Vincenzo Lombardo, ritiene che le imprese appaltatrici fossero costrette a pagare una mazzetta che varia dall’1 al 3% sull’importo dei lavori e che dovessero rifornirsi dalle ditte controllate dalle cosche mafiose.  Giuseppe Prestanicola è considerato l’uomo d’affari di riferimento della cosca dei Mancuso di Limbadi. Il provvedimento, emesso dal tribunale di Vibo Valentia, ha riguardato diverse ditte riconducibili a lui. Da rilevare che i finanziamenti pubblici in Calabria scarseggino; le opere da costruire si diradino. Le imprese legate ai clan calabresi, che negli anni hanno monopolizzato i mercati del calcestruzzo, del movimento terra e inerti, fino a essere presenti in ogni cantiere pubblico e privato, hanno messo perciò radici, da almeno due generazioni nelle terre tra il Ticino e l’Adda. Le famiglie dell’Aspromonte (Platì, San Luca, Natile ecc.) si sono radicate da tre generazioni creando un ‘consorzio del Nord’  . Fanno capo ai Barbaro di Platì, che coordinano le famiglie Perre, Trimboli Sergi e Papalia, già inserite negli appalti per l’Alta velocità e raddoppio della Venezia-Milano; aspettano la pedemontana lombarda e la nuova Tangenziale est milanese.Ma torniamo a noi; ai Mancuso. La presenza fra le imprese aggiudicatarie  impegnate nella realizzazione dei lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, nel tratto compreso tra la provincia di Reggio e quella vibonese, come detto sopra, era stata oggetto di un’altra indagine della magistratura reggina nell’ambito dell’inchiesta “Arca” dalla quale l’imprenditore era però uscito indenne.

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Qui siamo nel regno dei Mancuso, come si diceva. Una cosca, divisa in tre articolazioni, delle quali, sono tuttora in carcere capi, gregari ed affiliati. Uno dei più potenti clan  dell’intera Calabria. I Mancuso sono una ndrina di Vibo Valentia  con influenze molto forti anche nella provincia, compreso Limbadi da cui sono originari. Hanno contatti con le famiglie di Cosa Nostra e la FARC colombiana. Al nord Italia sono presenti nell’hinterland nord di Milano, in particolare a Monza e nei Comuni di Giussano, Seregno, Verano Brianza e Mariano Comense.  Giuseppe Lumia,  ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, lo definì,  il clan finanziariamente più potente d’Europa L’ascesa dei Mancuso inizia nel 1977 dopo la morte del boss Antonio Zoccali di Vibo Valentia. Supportarono la ‘ndrina dei Fiarè di San Gregorio d’Ippona durante la faida contro la famiglia Pardea sempre di Vibo Valentia. Dopo la faida ottengono la supremazia della zona, grazie ai loro collegamenti con le famiglie dei Piromalli e dei Pesce, con le quali stipulano un patto federativo. I personaggi di rilievo sono: il mammasantissima della ‘ndrangheta Francesco Mancuso, patriarca del clan, inteso “Don Ciccio”, morto nel suo letto alla venerabile età di anni 95. (Nel 1983, da latitante venne eletto anche sindaco del comune di Limbadi), Giuseppe Mancuso, figlio di Francesco, latitante, catturato nella 1997. Daniele Mancuso, arrestato il 15 giugno del 2006 nella sua abitazione a Vibo Valentia, in seguito a un blitz dei Carabinieri. Costanzo “Dekost” Mancuso, catturato dalla polizia del Congo nel settembre 2007. Pantaleone Mancuso, in carcere dal 2009 ma a marzo uscito per decorrenza de termini. Domenico Mancuso, detto The Red. Un clan messo in ginocchio dagli arresti a decine, se non centinaia di affiliati e  dal sequestro dei beni mobili ed immobili per centinaia di milioni di euri, direttamente o ad esso riconducibili, ma non sconfitto. Nonostante le operazioni, “Dinasty, Do ut des ed Odissea”….. Le mani delle cosche del Vibonese sui villaggi turistici della costa. Controllavano ogni attività e di fatto gestivano interessi per svariati milioni di euro, sostituendosi ai titolari delle strutture recettive. Fino allo storico blitz della Squadra Mobile della questura di Vibo Valentia, coordinata dalla DDA del capoluogo calabrese e dello SCO, il Servizio centrale operativo, trecento uomini, che hanno disarticolato i clan dei Mancuso e dei La Rosa. Antonio, Francesco e Pasquale La Rosa capi dell’omonimo clan. Guidati da Cosmo Mancuso e Pantaleone  Mancuso, inteso “Scarpuni”. L’intesa prevedeva la spartizione dei proventi dei villaggi turistici, delle vittime dell’usura, degli appalti pubblici, delle bische clandestine e dei videopoker.  tra Pizzo e Nicotera. Sul campo, gli uomini della Mobile diretti dal vicequestore Rodolfo Ruperti (oggi Capo della Squadra Mobile di Caserta)e dal suo braccio destro Fabio Zampaglione (oggi, Capo della Squadra Mobile di Viterbo), entrambi nel frattempo promossi e trasferiti e  dello Sco; coordinati dal sostituto procuratore Dda Marisa Mancini. I Mancuso a Monza e Giussano, la ’ndrangheta si nasconde in Brianza? l’operazione «Uova del drago» coordinata dal sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Marisa Manzini, aveva portato a diversi arresti e aveva quasi decapitato un’organizzazione accusata di diversi reati, dall’associazione a delinquere alle estorsioni all’omicidio, lo ha dimostrato.  L’arresto di Domenico Bonavota , 29 anni, considerato dagli inquirenti il reggente dell’omonima ’ndrina di Sant’Onofrio, e Antonio Pataria, i due superlatitanti, filo-limbadiani, arrestati mentre prendevano il sole su una spiaggia di Voltri, a pochi chilometri da Genova, ricercati dall’ottobre del 2007, eseguito dagli uomini del Servizio centrale operativo, della Squadra mobile di Catanzaro e dai colleghi di Vibo Valentia, confermano la relazione della Commissione parlamentare antimafia. Potevano contare su una ramificata e molto efficiente rete di protezione che arrivava sino in Brianza. Proprio Giussano era da ritenersi, una delle roccaforti brianzole della ’ndrangheta e dei Mancuso. I carabinieri di Monza, coordinati dal procuratore capo Antonio Pizzi, avevano scoperto che il clan di Salvatore Mancuso, finito in carcere dopo che in un garage di Seregno era stato scoperto un autentico arsenale (tre kalashnikov, una mitraglietta, due fucili di precisione, munizioni e bombe a mano), avesse base operativa a Giussano ed avesse messo radici proprio da queste parti; dove controllavano il territorio assieme ai Mancuso  anche i tre fratelli Iamundo, residenti a Cesano Maderno. Poi c’è anche un’altra verifica probatoria; la posizione di Rocco Cristello, ritenuto uomo di collegamento del clan Mancuso, assassinato da un commando della ’ndrangheta   davanti alla sua villetta di Verano Brianza. Altri misteri arrivano dall’esecuzione del boss Rocco Cristello, ex alleato dei Mancuso caduto in disgrazia,  ucciso in Brianza il 27 marzo 2008; dall’omicidio di Carmelo Novella, capobastone di Guardavalle, ammazzato a San Vittore Olona, il 14 luglio 2008, in territorio dei Farao Marincola; di Aloisio Cataldo, genero del mammasantissima Farao, ucciso fuori Legnano il 27 settembre 2008. Va da sé che il clan dei Mancuso di Limbadi o Vibo Valentia che dir si voglia, come tutte le altre ‘ndrine, abbia le mani in pasta dappertutto sul territorio calabrese e su quello nazionale ed estero: Appalti truccati; abusivismo edilizio; caporalato; contrabbando di sigarette; tabacchi ed altra merce come i valori bollati; contraffazione di denaro e valori; detenzione e commercio di esplosivi; controllo della grande distribuzione alimentare, ed anche della piccola; controllo delle stazioni e dei porti; forse anche degli aeroporti; frodi telematiche (false carte sim card); frodi agricole ai danni della UE e dell’AIMA furti, rapine e scippi; gioco d’azzardo, videopoker; mercato nero del lavoro; narcotraffico; racket della prostituzione; racket della costruzione; racket delle estorsioni; riciclaggio di denaro sporco; sbarco dei clandestini; scippi, furti e rapine; sequestri di persona a scopo estorsivo; traffico dei rifiuti; traffico di droga e di armi; traffico dei boat-people; usura; videopoker e macchinette similari; voto di scambio nelle elezioni comunali, provinciali, regionali.KMa gl’interessi della ‘ndrangheta non sono mai statici. Nel 1999 il magistrato milanese Armando Spataro avvisava la commissione parlamentare antimafia di Beppe Lumia che nel capoluogo lombardo “il 90 percento delle inchieste riguardasse i clan di ‘Ndrangheta. In vista dell’Expo 2015 le cosche calabresi stavano infiltrando il tessuto imprenditoriale lombardo e spostavano il centro dei propri interessi all’ombra della Madonnina. I  magistrati nazionali antimafia sibilavano: “Milano è la nuova capitale della ‘ndrangheta e la Lombardia è diventata la quarta regione mafiosa d’Italia”. Non è da escludere che la prossima guerra di mafia si combatta a Milano. Un pentito confidava al magistrato gip milanese Vittorio Foschini ” Su ordine del boss CocoTrovato, consegnai ad un capofamiglia alleato nel ristorante ‘Il Portico’ di Airuno in Brianza, cinque Kalashnikov, tre mitragliette Uzi, tre pistole Sig sauer “. Tutto questo,   dopo che clan rivali nel milanese avevano ordito un attentato contro Peppe De Stefano e Franco Trovato a Bresso siamo nella periferia nord di Milano, a ovest di Sesto San Giovanni.  Domenico Salvatore

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