Gli hanno confiscato l\’intero patrimonio di tre società edili. Gli inquirenti lo accusano di essere «l\’imprenditore di riferimento», della cosca dei \”papaniciari\” e segnatamente del gruppo che farebbe capo a Leo Russelli. Sottoposto dal 2 febbraio del 2010 alla misura della sorveglianza speciale, Antonio Campisi, 68 anni, originario di Castelsilano ma da anni residente in città, è imputato nel processo antimafia scaturito dalle operazioni \”Eracles\” e \”Perseus\” che si sta celebrando davanti al Tribunale penale di Crotone.
L\’altro ieri la Sezione Misure di prevezione del Tribunale presieduta da Filippo Favale (a latere Gino Bloise e Pietro Carè giudice relatore), ha disposto la confisca di quote sociali, terreni, titoli bancari e fabbricati intestati all\’imprenditore o ai suoi familiari. Il provvedimento della confisca che ne segue altri analoghi emessi nei mesi scorsi nei confronti di altri soggetti, non è altro che la conferma della tesi sostenuta dagli inquirenti e dagli investigatori della Squadra Mobile della Polizia di Stato che dopo alcune accurate indagini patrimoniali nell\’ottobre del 2009 avevano chiesto ed ottenuto il sequestro preventivo di beni stimati per un valore di 35 milioni di euro considerati nell\’uso e nella disponibilità dello stesso Campisi e di altre sette persone legate alla cosca dei \”papaniciari\”.
\”Dirty investments\” fu ribattezzata quell\’indagine patrimoniale sfociata nell\’allora sequestro do auto di lusso, mezzi meccanici; imprese di costruzioni e società, terreni, fabbricati e di un intero villaggio turistico in costruzione sul litorale di \”Margherita\” (quest\’ultimo appunto di proprietà di una delle società di Campisi). Era stato il questore Giuseppe Gammino ad avanzare allora la richiesta della misura patrimoniale. E lo stesso questore nella conferenza stampa seguita al maxi-sequestro sostenne la tesi che i beni sequestrati erano provento di attività illecite. Una tesi fatta propria dai giudici della Sezione Misure di prevenzione del Tribunale che riguardo al provvedimento patrimoniale assunto nei confronti dell\’imprenditore edile, sottolineano l\’ipotesi accusatoria secondo la quale Campisi, «sfruttando il legame con la compagine mafiosa, avrebbe accresciuto i profitti delle proprie imprese, imponendo forniture di calcestruzzo ai costruttori crotonesi ed acquistando terreni e immobili ad un prezzo più basso di quello di mercato, ai fini di edificazione e di rivendita, con relativo maggior profitto».
I giudici nel provvedimento con il quale è stata disposta la confisca riprendono quanto sostenuto dagli inquirenti che parlarono di «un rapporto di cointeressenza», tra Campisi e «il boss Pantaleone Russelli». Come riscontro alle accuse, i magistrati della Sezione misure di prevenzione citano tra le altre cose le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e come elemento indiziario il rapporto di lavoro dipendente che «Russelli Francesco, fratello di Pantaleone e reggente della cosca nei periodi di detenzione di questi», ha intrattenuto con due società della famiglia Campisi.
In base a questi e ad altri elementi si è formato il ragionamento dei giudici che hanno confermato i sigilli ai beni di Campisi e dei suoi familiari, difesi dagli avvocati Salvatore Iannotta e Francesco Verri. Il collegio, nel dettaglio, ha disposto la confisca dei beni e delle quote sociali di tre società: la \”Costruzione Campisi Antonio & C\”; la \”Calcestruzzi Campisi Antonio Srl\” e la \” G. S. C. Global Service Construction\” che è proprietaria di un villaggio in costruzione a Margherita.
Il valore complessivo dei soli beni immobili acquistati dalle società e di alcuni depositi bancari si aggira intorno ai cinque milioni circa di euro. A questo si deve aggiungere il valore delle stesse società e dei beni mobili a queste intestate. Basti pensare che sono stati confiscati tra l\’altro, 6 appezzamenti di terreno, 3 autovetture, 2 opifici, 16 autoveicoli industriali (tra autocarri e mezzi meccanici) e 10 fabbricati. Inoltre anche in questa circostanza la Sezione misure di prevenzione del Tribunale nel provvedimento ha definito «censurabile», la condotta di una banca che concesse un mutuo a Campisi, il 25 giugno 2009, dopo che questi il 6 aprile 2009 era stato rinviato a giudizio per associazione mafiosa davanti al Tribunale di Crotone nell\’ambito del procedimento scaturito dalle operazioni antimafia \”Eracles\” e \”Perseus\”.