\"\"

Il cantiere dove sorgerà il centro commerciale di Mapello, nel bergamasco, era tristemente salita alla ribalta delle cronache nazionali per la vicenda della scomparsa e dell\’omicidio di Yara Gambirasio. Per settimane, il corpo della ragazza venne ricercato nel cantiere, e di recente i risultati dell\’autopsia avrebbero portato a pensare che Yara sia stata uccisa proprio a Mapello: nei suoi polmoni, infatti, erano state trovate tracce di polvere da cantiere.
Ora, sullo stesso cantiere si allungano le ombre della \’ndrangheta, le stesse che coinvolgono anche un\’azienda di Gualtieri.
I lavori al cantiere di Mapello iniziarono nel 2010, e le terre di risulta per la realizzazione delle fondamenta sono finite alla cava Macogna, un\’area nella zona bresciana della Franciacorta.
A febbraio, però, il Gico (Gruppo investigativo criminalità organizzata) della Guardia di Finanza e il Nita (Nucleo interforze tutela ambientale) di Brescia, su mandato dei magistrati Paolo Savio e Michele Stagno della Direzione distrettuale antimafia, hanno sequestrato diversi ettari della Macogna.
Tredici persone risultano indagate, per traffico e smaltimento di rifiuti non pericolosi.
Tra gli indagati ci sono due ditte bresciane e diversi autotrasportatori che – scrivono i magistrati di Brescia – \”procedevano all’escavazione di sabbia e ghiaia nella cava [e] trasportavano terra di risulta dal cantiere del comune di Mapello, avente ad oggetto la realizzazione di un centro commerciale, presso la cava posta in località Macogna, e qui la riversavano in buche precedentemente scavate”.
Secondo i pm, però, “la cava in questione non poteva essere escavata, né quindi vi si potevano smaltire rifiuti provenienti da altri siti. In più il trasporto delle terre in questione dal cantiere di Mapello avveniva senza che le stesse potessero essere classificate come terre e rocce da scavo ed in ogni caso, per circa 54 mila metri cubi di terra prodotti nel cantiere suddetto, avveniva senza che della loro destinazione vi fosse alcuna traccia documentale”.
Tra le aziende indagate c\’è anche la Autotrasporti Giglio di Gualtieri, di cui è titolare il 44enne di origine crotonese Giuseppe Giglio. Il nome dell\’imprenditore è già agli atti di un\’operazione antimafia condotta due anni fa dalla Dda antimafia: l\’uomo sarebbe stato pesantemente taglieggiato dalla cosca dei Nicoscia di Isola Capo Rizzuto.
\”Pino Giglio si può dire che è come una specie di bancomat\” (sic): così disse già nel 2007 Angelo Salvatore Cortese, storico pentito di ‘ndrangheta. L\’imprenditore era tenuto sotto scacco dalla \’ndrina, e non riusciva a ribellarsi: secondo quanto ricostruito dai magistrati di Catanzaro, \”il boss Salvatore Nicoscia, in modo sistematico, una o due volte al mese, si recava a Reggio Emilia per riscuotere denaro a titolo estorsivo dagli imprenditori Pino Giglio e altri”. Fu Cortese stesso a raccontare uno di questi incontri, in cui Giglio consegnò 5000 euro nelle mani di un sodale.
L\’Autotrasporti Giglio aveva iniziato a lavorare nel \”cantiere di Yara\”, a Mapello, proprio per rientrare dai tanti soldi che, negli anni, aveva dovuto pagare alla \’ndrina dei Nicoscia.
Ora, però, è finito nei guai per i movimenti terra: la procura di Brescia vuole verificare la natura del materiale abbandonato nella cava di Macogna, per “accertare se il deposito di terra proveniente dal cantiere di Mapello abbia interessato la falda della cava Macogna e abbia prodotto un danno ambientale, o comunque un’alterazione dello stato originario dei luoghi”.

Fonte: reggionline.com

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *