Pubblichiamo di seguito un articolo apparso ieri sul quotidiano La Repubblica, nella sezione cronaca di Torino.
_________________________
Ettore Boffano per La Repubblica
«NON c\’è bisogno di più Stato per battere le mafie in Italia. Lo Stato c\’è già, e molto. C\’è invece bisogno di sconfiggere la politica \”delinquente\” che, con le mafie, si è alleata» (Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, Cuneo, 18 novembre 2011)
Che fine ha fatto l\’inchiesta \”Minotauro\”, quella che scoperchiò la fitta rete delle \’ndrine calabresi trapiantate nel Torinese? La domanda non è rivolta ai magistrati e agli inquirenti che, c\’è da esserne certi, stanno lavorando per definire le loro accuse ed è probabile, accertarne altre.
La risposta, ineludibile, tocca invece (ma era già così quando scattarono gli arresti e furono rese note le intercettazioni telefoniche) alla politica subalpina e alle istituzioni piemontesi che, da quella stessa politica, sono governate. Cerchiamo di capire perché. L\’insediamento della \’ndrangheta («la mafia più forte del mondo») nel Nord Italia, la sua conquista ormai quasi consolidata di Milano e del suo hinterland, il suo affacciarsi prepotente a Torino (dopo l\’occupazione criminale di Bardonecchia e dell\’Alta Val di Susa da parte dei clan Mazzaferro e Lo Presti, tra gli anni 70 e 80 del secolo scorso) non si possono spiegare soltanto con la straordinaria virulenza criminale dell\’organizzazione calabrese e con le sue mire espansionistiche che guardano ormai non soltanto al resto d\’Italia, ma alla stessa Europa (per quanto riguardala presenza sul territorio) e al mondo (per quanto riguarda scambi dell\’economia illecita), sino al punto da aver scavalcato in importanza illegale la stessa Cosa Nostra siciliana.
Il criminologo Federico Varese (insegna da anni a Oxford), nel suo recente \”Mafie in movimento, come il crimine organizzato conquista nuovi territori\” (Einaudi 2011, pp.298, euro 19), ha analizzato proprio le vicende criminali della Val di Susa assoggettata da Rocco Lo Presti e dai suoi uomini come esempio per cercare di spiegare quanto, all\’apparenza, apparirebbe impossibile e dunque inspiegabile: il \”trapianto delle mafie\” nel Nord italiano. Qualcosa che, invece, non solo è stato possibile, ma è oggi compiutamente realizzato. Si può dunque parlare un dialetto piemontese con inflessioni occitane, si può addirittura giocare alla finzione della Padania e del federalismo bossiano (e si può anche fare di quelle diverse identità, segnate da un altrettanto diverso grado di originalità, una delle radici del movimento No Tav) e poi convivere, venire ai patti o addirittura allearsi con le \’ndrine arrivate da lontano. «La mafia mostra di essere una struttura di governo – scrive Varese – in grado di promuovere gli interessi di un settore della popolazione e di generare un certo consenso… L\’errore è credere che zone con un alto tasso di \”civismo\”e di \”capitale sociale\” siano immuni dal trapianto mafioso… In presenza di una combinazione di fattori economici specifici, qualunque zona è a rischio di penetrazione».
Nessuno può vantare presunzioni d\’innocenza, dunque, là dove le mafie riescono ad attecchire. E meno che mai, allora, la politica. Eccolo il vero snodo strategico del \”trapianto criminale\”: la politica. «Torniamo alla \’drangheta al Nord e alle indagini recenti- scrive ancora il criminologo – Una volta che un mercato è governato attraverso la violenza, la \”politica\” diventa cruciale. Intendo \”politica\” in senso lato, come il raggiungere accordi di spartizione che siano considerati equi da tutte le parti, oltre all\’appoggio di enti pubblici».
L\’operazione \”Minotauro\”, a Torino, ha disvelato proprio questo assetto di collaborazione tra le \’ndrine e certa \”politica\”. Con livelli, sfumature e responsabilità molto diverse tra loro, ma tutte inquietanti: arresti e incriminazioni eccellenti in alcune amministrazioni comunali e nella Regione guidate dal centrodestra; frequentazioni non penalmente rilevanti, ma mai spiegate sino in fondo, da parte di alcuni eletti del centrosinistra.
Da allora, il silenzio della \”politica\” è piombato su tutte quelle vicende. Tombale e irresponsabile, nel centrodestra. Più imbarazzato e più teso a ricevere il soccorso dell\’oblio, nel centrosinistra (perché, per esempio, non chiedere, agli autori di quelle conversazioni e di quegli incontri \”non rilevanti\”, di saltare almeno un turno, ai tavoli delle feste estive del Pd?). E gli interrogativi posti da Federico Varese restano invece ancora lì, senza una risposta. Da parte di quella \”politica\” che, a un certo punto, decise di raggiungere, anche a Torino, «accordi equi, per tutte le parti».