Fonte: Strilli.it – “Colpisce il dato che in Calabria – segnatamente a Reggio Calabria e Provincia – molti dei soggetti inseriti nel settore commerciale della vendita di carburanti sono considerati ‘vicini’ alle famiglie di ndrangheta egemoni nel territorio ove gli stessi esercitano l’attività lavorativa”. Una pura considerazione preliminare che il sostituto procuratore della Dda di Reggio Calabria, Roberto Di Palma, mette nero su bianco nelle prime pagine del provvedimento di fermo riguardante i fratelli Giovanni e Domenico Camastra, che avrebbero retto le redini del giro di truffe e di contrabbando di gasolio attivo nella provincia di Reggio Calabria.
Indagini meticolose quelle della Dda reggina che traggono spunto anche da un’intercettazione ambientale, all’interno del supercarcere di Palmi, inserita nell’indagine “All inside”, in cui a parlare sono Francesco Pesce, ritenuto un membro di spicco dell’omonimo clan di Rosarno, la madre Carmela Capria, il fratello Giuseppe Pesce e la fidanzata, Maria Stanganelli. Nel colloquio, Pesce, detenuto in un carcere di massima sicurezza, manifesta interesse verso la “nafta”:
Francesco: Va bò non, non gridare, non gridare, non gridare.–//
Giuseppe: No no no.–//
Francesco: LA na, la na… quella cosa, la nafta la state facendo? la nafta …..///….. la state facendo?
Giuseppe: (Annuisce col capo) Si. –//
Francesco: Vediamo. –//
Giuseppe: …inc… vediamo!–//
Francesco: …..///….. ah, vedi che, domani (Si alza e si avvicina al fratello Giuseppe parlandogli all’orecchio) …inc… (Si siede) …inc… loro, quello che gli avevo datoio.–//
Giuseppe: (Annuisce col capo).–//
Francesco: A fine adesso.–//
I rapporti tra i fratelli Giovanni e Domenico Camastra, tratti in arresto dalla Guardia di Finanza che ha dato esecuzione al provvedimento di fermo della Dda reggina, sarebbero avvalorati anche dal fatto che tra i soggetti denunciati a piede libero risultino anche Marco Mazzitelli e Domenico Sibio, entrambi ritenuti vicinissimi al clan Pesce di Rosarno. Anche la presenza tra i soggetti denunciati di Giovanni Corrado, ritenuto vicino ai Crea di Rizziconi, e Antonio Stefano, ritenuto affiliato agli Aquino-Coluccio, testimonierebbe come le cosche avessero allungato la propria longa manus su un giro di affari illecito, ma sicuramente conveniente. Del resto, anche nell’indagine “Reale”, curata dal Ros di Reggio Calabria, due soggetti Giuseppe Galea (un uomo in contatto con il celebre narcotrafficante Roberto Pannunzi, attualmente latitante) e Massimiliano Futia, a colloquio con Giuseppe e Domenico Pelle, nella casa storica del clan, a Bovalino (quella frequentata da soggetti come Giovanni Zumbo e Santi Zappalà) parlano di un non meglio precisato affare che riguarderebbe, ancora una volta, la nafta: “…vorrei accennarvi qualcosa a riguardo della nafta …incompr… lavorate la nafta e ora se vuole Dio, inizio io pure con quella agricola” dice Galea a Pelle, il quale risponde: “Si ma lo sistemiamo noi il discorso, noi basta che la possiamo prendere”. Lo stesso Pelle, in una conversazione intercettata, che, evidentemente, contribuisce a dare il nome all\’indagine, afferma, chiaramente: \”Voi avete l\’oro nelle mani!\”.
Circostanze che hanno portato il pm Di Palma e gli uomini delle Fiamme Gialle sulla strada giusta. Dal provvedimento di fermo: “L’indagine ha permesso di svelare l’intera filiera attraverso la quale la ‘ndrangheta direttamente o indirettamente si è pesantemente inserita nel settore commerciale de quo, riuscendo ad ottenerne il controllo di gran parte. Filiera che coinvolge ditte dedite all’acquisto all’ingrosso del carburante presso i grandi depositi, alla denaturazione dello stesso, al trasporto, alla distribuzione ed infine alla rivendita al dettaglio. Tutti questi soggetti, legati a vario titolo (per come si avrà modo di approfondire) alle famiglie di ‘ndrangheta di Reggio e Provincia, hanno creato ed organizzato capillarmente la distribuzione del carburante ponendo in essere una colossale truffa finalizzata alla evasione dell’IVA e delle accise gravanti sul prodotto posto in vendita in contrabbando, tramite la realizzazione anche di una serie di reati fiscali connessi, il tutto con illecito considerevole guadagno”.
Del business messo in atto dai fratelli Camastra, infatti, si sarebbero avvantaggiate, tanto per cambiare, anche le cosche. Da qui, dunque, la contestazione delle aggravanti ai soggetti coinvolti nell’inchiesta. Scrivono gli inquirenti: “A ben esaminare i soggetti con i quali i Camastra hanno intessuto rapporti commerciali, si ha modo di notare come gli stessi siano più o meno tutti (o quantomeno una gran parte degli stessi) inseriti o circuitanti in ambiti ndranghetistici”. Ancora una volta, dunque, in Calabria gli imprenditori si legano a soggetti delle cosche, come se, per lavorare sul territorio regionale, sia necessario essere in contatti con la ‘ndrangheta: “E questo secondo un collaudato schema che vuole gli imprenditori calabresi spesso “vicini” alla criminalità organizzata al fine di trovare i giusti appoggi per poter liberamente e proficuamente svolgere la propria attività lavorativa e al contempo la ndrangheta attivamente interessata al tessuto imprenditoriale al fine evidente di trarne illeciti vantaggi economici (oltre che a mettere in atto un sistematico controllo del territorio, caratteristica tipica della stessa ndrangheta oltre che potente strumento attraverso il quale dimostra alla collettività il proprio potere). Dunque, interessi che si sovrappongono e che non danno certamente vita al rapporto “vittima-carnefice” bensì appaiono piuttosto come il raggiungimento di perfetti e collaudati equilibri criminali”. Una tendenza che il pm Di Palma ha sostenuto più volte nelle proprie inchieste, da ultima quella “Maestro”, che vedeva come elemento principale l’imprenditore Cosimo Virgiglio.
Contatti con i Pesce, contatti con i Pelle, contatti con i Crea e gli Aquino: ionica o tirrenica non fa differenza. I Camastra, direttamente o indirettamente, sarebbero riusciti a entrare in contatto con alcune delle famiglie più in vista del panorama criminale della provincia reggina e non solo visti i rapporti con i Mancuso di Limbadi, paese in provincia di Vibo Valentia. Ma anche con i Ficara, egemoni nella zona sud di Reggio Calabria, i fratelli avrebbero avuto rapporti di natura economica e imprenditoriale. Diverse, infatti, le conversazioni intercettate tra Domenico Camastra e Domenico Ficara, fratello del boss, attualmente detenuto in regime di 41bis, Giovanni Ficara.
“Un’ulteriore testimonianza – come affermato dal procuratore Giuseppe Pignatone – dell’unitarietà della ‘ndrangheta”.