18/10/1997 – 18/10/2012. 15 anni di assenza dello Stato nei confronti del testimone di giustizia Pino Masciari e della sua famiglia
Ma l’Italia che Paese è? Un Paese omertoso, in cui non conviene denunciare i poteri forti che sia ‘ndrangheta, cosa nostra, camorra o il rapporto tra organizzazioni criminali e apparati dello Stato e personalità politiche di spicco a livello locale o nazionale, in cui se ti viene chiesto il pizzo è meglio pagare se non vuoi avere ulteriori grane, in cui a imprenditori onesti e alle loro famiglie viene sconvolta per sempre la vita in un giorno qualunque, lasciare la propria terra, anzi venire letteralmente prelevati, nessuno deve vedere, sentire e sapere. Chiudere tutti rapporti con la famiglia di origine, con il paese natio, con gli amici. Scappare come ladri nel pieno della notte senza che nessuno ti dica dove si sta andando. Sballottati da un “covo” all’altro. Eh si!, un covo poiché quando all’epoca non esisteva ancora la figura del testimone di giustizia chi denunciava veniva considerato a tutti gli effetti alla stregua di un collaboratore di giustizia. Capitava quindi, nel lungo viaggio in Italia della famiglia Masciari con due bambini piccoli al seguito, di abitare un posto in cui qualche giorno prima era stato ospitato uno dei tanti boss pentiti. Trattati alla stregua di criminali, quindi, demonizzati dai compaesani. Una vera e propria lotta al massacro delle vittime. La beffa è dietro l’angolo. Pino e la sua famiglia non possono tornare in Calabria e se lo fanno è sempre a proprio rischio e pericolo.
La mia attenzione ora, dopo questa premessa si vuole spostare, da donna, sulla figura di Marisa Masciari, donna coraggio e innamorata del suo uomo. E’ proprio vero che dietro a un grande uomo ci deve essere una grande donna. Marisa dà coraggio a Pino per denunciare i soprusi subiti, sa o comunque sospetta dei rischi che potranno correre, della non vita che si prospetta loro davanti, ma gli rimane sempre accanto, non lo abbandona al suo destino, in fondo lei era una giovane professionista poteva rifarsi una vita, lasciarlo solo o peggio ancora convincerlo a non denunciare, a stare zitto, pagare e continuare a farlo, diventare connivente o affiliato, pesce grande mangia pesce piccolo. Le cose non vanno così. Marisa resiste, Marisa lotta non si gira dall’altra parte, Marisa ama di un amore immenso.
Il ruolo della donna-moglie in questo caso si dimostra decisivo. Come ahimè è decisivo anche nella vita e nella perpetuazione del modello ‘ndranghetistico-mafioso. Non a caso in Calabria a collaborare sono spesso le mogli o le figlie di boss di spicco che pagano con la vita le loro confessioni ammazzate o istigate al suicidio.
Ritornando al ruolo assunto da Marisa mi chiedo quante donne, mogli, fidanzate, oggigiorno, avrebbero lasciato tutto, stravolto la propria vita per un uomo, marito, fidanzato? Ora che l’amore non è più eterno ma si va avanti finché non si trova di meglio, sentimento dai contorni labili, deboli, “del tutto adesso e ora e dopo chissà, ma almeno ci siamo divertiti!”, la parola amore non equivale più a coraggio nel viversi ogni giorno senza remore e nella libertà di ciascuno, anzi perde sempre più di senso, sterile e inutile, una delle tante del dizionario della lingua italiana.
Una non vita quella della famiglia Masciari che si ritrasforma in vita quando Pino tornato a casa abbraccia Marisa e i bambini ormai divenuti ragazzi.
Quella di Marisa è la prova più grande d’amore che potesse donare a Pino e ai loro figli. Amare incessantemente, in qualsiasi circostanza e in qualsiasi luogo, amare davvero senza se e senza ma, donarsi all’altro, divenire un tutt’uno per affrontare meglio i problemi che la vita ha riservato loro, non sentirsi soli quando tutto il mondo ci è ostile, non ci capisce, ci umilia, avere qualcuno al proprio fianco quando anche lo Stato falsamente democratico e falsamente amante dei propri cittadini ci accantona da una parte come cani rognosi, si dimentica di noi e favorisce il nostro martirio. Lo Stato senza coscienza e senza memoria, il potere fine a se stesso posto a baluardo della propria rigenerazione. Uno Stato non per tutti ma solo per alcuni eletti, per le caste che governano tutti gli ambiti della vita sociale e politica, in cui la giustizia è un optional troppe volte non incluso nel pacchetto misero dei diritti degli onesti. In cui la scorta è meglio darla al politico per andare a fare la spesa e non al testimone di giustizia, al giornalista, all’uomo comune che denuncia, che avanza con la schiena dritta senza curvarsi o peggio strisciare mai, il cammino dell’onesto è lineare ma pieno di cadute, dovute alle trappole e ai tranelli orditi per metterlo in ginocchio, ma che nel rialzarsi è ancora più convinto che quella sia l’unica strada percorribile per vivere davvero e non sopravvivere, per ritornare ad essere, infine, “padrone della propria vita”. (Chantal Castiglione)