Pubblichiamo di seguito l\’articolo della dott.ssa Sara Moretti (Referente Comunicazione Esterna della Libera Università dell\’Autobiografia di Anghiari) in merito al primo Festival Nazionale dell\’Autobiografia, tenutosi ad Anghiari (Arezzo) fra l\’1 e il 4 settembre a cui ha partecipato, in qualità di ospite, anche l\’imprenditore calabrese, Pino Masciari. A fondo dell\’articolo pubblichiamo anche le foto dell\’evento.
Si apre, il Festival, con i saluti dell’Assessore Carla Borghesi, del sindaco di Anghiari, Riccardo La Ferla, e di Stefania Bolletti, presidente della Libera Università dell’Autobiografia.
Poi Duccio Demetrio prende la parola e ricorda quanti siano i volti dell’autobiografia, che sono milioni, che possono essere quelli di ciascuno di noi, perché ogni storia ha un valore e vale la pensa di essere raccontata, e cita Polster che scrive appunto “Ogni storia merita un romanzo”.
E poi ancora nel pomeriggio con la Poesia, e Daniele Piccini, che ci racconta l’autobiografia falso-vera del poeta e introduce gli altri ospiti, tra loro, Adriana Mattorre non comunica a parole, è una ragazza diversamente abile, ma nella poesia trova la sua parola, che come scrive lei stessa sostituisce il ronzio che sentiva prima di iniziare a scrivere. E’ sul palco, con gli atri poeti, emozionata.
La prima ricca giornata si conclude con lo spettacolo Non mi ricordo, di Ginetta e Pino Maineri. Alla fine il pubblico rimane seduto in sala. Nessuno si alza. Le emozioni suscitate arrivano nel profondo dell’anima, è come se nessuno volesse lasciarle scendere, alzandosi. Sul palco Ginetta e Pino hanno raccontato la loro storia, quella della loro vita insieme, della loro vita cambiata dopo l’incidente che ha colpito Pino nel 1996,e gli ha portato via tutta la memoria, lasciando Ginetta a viverla per entrambi, a recuperarla, a ricostruirla.
Numerosi, durante le quattro giornate, gli interventi di studiosi, le presentazioni di progetti, che hanno visto un pubblico attento, seduto in Piazza del Popolo, rimanere all’ascolto anche sotto il sole.
Un pubblico che non si è perso nulla del ricco programma che ha caratterizzato il Festival, partecipando ai laboratori nei quali era possibile sperimentarsi in prima persona, agli incontri con autore, durante i quali si è parlato di Autobiografia e Poesia, Autobiografia e impegno civile, Autobiografia e cura, agli spettacoli in teatro, la sera.
Il venerdì sera Andrea Scanzi, giornalista, ha raccontato il “suo” Gaber, lasciando che chi era in sala potesse rivivere la storia e la straordinaria esperienza artistica di Gaber. Colto, attento, pungente e coinvolgente, Andrea tiene il pubblico attento, in un’alternanza tra il suo racconto, e i video, alcuni inediti, che raccontano Gaber e che lui ha raccolto attraverso un’accurata ricerca. Lo spettacolo, lanciato qualche mese fa dalla Fondazione Gaber, era per la prima volta in provincia di Arezzo.
E ancora, nel pomeriggio del sabato, una voce da un volto buio buca lo schermo… è quella di Emanuela Violani, uno pseudonimo, che racconta di quattro anni di abusi, del suo affetto tradito e rubato, che ha raccolto in un testo: Diario segreto dei miei giorni feroci (ed Claudiana).
E l’ultima sera, chi è presente ad Anghiari da tre giorni è stanco, ma non si perde d’animo, ed entra in un teatro al completo, dove il caldo torrido e inusuale per il 3 Settembre la fa da padrone, per assistere a CLASH TO ME – racconto punk di provincia, e al pubblico del Festival si aggiungono in molti, che magari lo spettacolo l’hanno già visto, ma lo vogliono rivedere, perché l’intensità della storia di Andrea Merendelli e la musica degli STRA colpiscono. E infatti, nonostante il caldo, rimangono tutti fermi in teatro, ad ascoltare.
E alla fine di un Festival, quando si fanno i bilanci, è proprio l’intensità emotiva vissuta che ci accompagna. Così, in quella scelta della quale parlavo all’inizio, non posso che dare maggior spazio ad uno degli eventi più intensi del Festival: l’incontro con Pino Masciari, imprenditore calabrese, che molti anni fa ha deciso di credere nello Stato e di non scendere a patti con la ‘ndrangheta. Questo gli è costato una vita una “da fuggiasco”, sotto protezione, che racconta nel testo Organizzare il coraggio (ADD Editore).
Venerdì 2 Settembre, Pino prende la parola. Questo è quanto si vive, descritto da Giorgio Macario, collaboratore della LUA:
E’ come se una voce risuonasse imperiosa, ribadendo risolutamente la necessità di scrivere, perché ciò che è stato pronunciato non sia stato detto invano.
Ma ad un ascolto più attento il messaggio prende vita.
“Scrivilo!”, ammonisce con fermezza.
“Scrivi”, comunica con garbo.
“Potresti scriverlo”, consiglia caldamente.
Ma la voce è la stessa.
E l’impegno civile che prorompe sulla piazza fra i raggi del sole impietoso ed i coni d’ombra proiettati a geometrie variabili sul selciato secolare, coglie quasi tutti i presenti un po’ di sorpresa per la sua intensità.
Da un lato sento una voce interiore che non trova pace finché lo sguardo della mia mente non si volge al borgo, alla piazza, al due di settembre.
Dall’altro la voce dell’imprenditore per vocazione, dell’organizzatore di coraggio per scelta, dell’esule abitatore del limbo per necessità, arriva ai presenti alternativamente come riflessione pacata e come appello accorato, che provoca, a tratti, una inconsueta stretta allo stomaco.
L’imprenditore Pino Masciari non è un oratore, lo dichiara da subito.
D’altronde nessun oratore si sarebbe azzardato a proseguire per un’ora e mezza, sfidando il caldo soffocante, l’argomento non certo facile e le capacità di resistenza dei presenti.
Ma nessuno fiata, si alza o attiva i mille espedienti utili ad estraniarsi in situazioni di ascolto distratto.
In realtà nessuno ascolta soltanto, perché tutti partecipano dell’evento che sospende il tempo e trasforma le scelte coraggiose e terribili di questo eroe suo malgrado in un esempio vivente.
Un esempio che fa vergognare dei piccoli compromessi siglati da ciascuno per quieto vivere.
Un esempio che sembra trovare tanta più solidarietà quanto più ci si allontani dal luogo del misfatto, la ‘sua’ Calabria.
Un esempio che mette la sua vita e quella dei suoi cari in pericolo perché potrebbe essere ‘contagioso’.
“Non dovrei essere qui! Non vorrei essere qui!”, tuona la voce dal palco.
“Avevo tutto! Potevo accettare di pagare come fanno tutti. Ma non l’ho fatto. Perché?”
La domanda è straziante.
La risposta è scontata.
Le conseguenze, inevitabili.
Ma anche ingiuste. Profondamente ingiuste.
Qualcuno, anni e decine di denunce con nome e cognome dopo, viene condannato.
Ma invece di esiliare chi diffonde il malaffare come strumento abituale di gestione degli investimenti e della ‘cosa pubblica’, si costringe ad una vita blindata ed isolata lontani dagli affetti e da una vita normale chi ha deciso di agire con rettitudine ed i suoi familiari più stretti.
Una successione di tappe, fogli, denunce, messaggi, agguati, spaventi e depressioni.
Ma anche un crescendo di vicinanza e solidarietà che sembrano comunque non bastare a riempire un buco nero esistenziale che mette a dura prova le capacità di resistenza umana.
L’idea della morte si affaccia più volte come possibile male minore.
L’immagine di Pino e della moglie Marisa sull’auto che ha già due ruote oltre il burrone, incerti sul da farsi, va oltre la lucida disperazione per dilagare nel dramma indicibile.
Ma la disperazione non è rassegnazione; contiene ancora, a suo modo, una spinta vitale che può spronare a proseguire oltre, nonostante tutto.
E questa sembra essere la scelta di Pino Masciari e della moglie Marisa.
Dare un nome e un cognome alla loro sofferenza.
Dare un senso alla loro costernazione.
Dare un futuro migliore ai loro figli, e non solo a loro.
Non so se esiste già una simile disciplina, ma alla Facoltà di Ingegneria che Pino non ha potuto concludere per la precoce morte del padre e per la necessità di sostituirlo ai vertici dell’azienda di famiglia, dovrebbe essere istituita una nuova cattedra di ‘Imprenditoria etica’ da affidargli.
Sarebbe un messaggio potente per costruire il “mondo migliore” che Pino auspica.
La voce che parla alla piazza infine si quieta.
E come ad un segnale convenuto, se prima Pino era l’unico ad essere in piedi, adesso è l’unico ad essere seduto.
Tutti gli altri si sono alzati e applaudono il coraggio, che oggi è di uno, ma domani potrebbe essere di molti.
Impossibile, dunque, descrivere tutto il Festival, una cosa è certa, però, questo primo Festival ha regalato delle emozioni e delle suggestioni che rimarranno dentro il cuore e la mente di chi ha potuto essere presente.
Di seguito le foto della fotografa del Festival (Lidia Di Padova) e del fotografo Edoardo Fornaciari (Blackarchives)