“La mia vita rovinata per colpa della ’ndrangheta”
L’appello dell’imprenditore: “Aiutatemi: sono pronto allo sciopero della fame”
Da un lato Mauro Esposito è rincuorato, perché sta ottenendo molti attestati di solidarietà da politici e amministratori. Dall’altro, però, l’imprenditore e architetto 51enne di Caselle, che ha avuto il coraggio di denunciare la ’ndrangheta, testimoniando al processo «San Michele» sulle infiltrazioni delle cosche nei cantieri del Torinese, è disperato. Questa mattina ha indetto una conferenza stampa in piazza San Carlo, a Torino: «Chiedo aiuto al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella e di essere ascoltato dalla commissione antimafia», ha detto. «Se domani il consiglio regionale del Piemonte non risponderà al Question Time del senatore Esposito, inizierò lo sciopero della fame».
«Vita distrutta»
«La mia vita personale, familiare e professionale sono state stravolte, distrutte», dice amareggiato Esposito, titolare della Me Studio Srl, società di progettazione che ha sede a Caselle. Oggi, come se fosse un grido di aiuto alle istituzioni, Mauro Esposito lancerà il suo appello insieme al senatore Pd e membro della Commissione Antimafia Stefano Esposito, all’onorevole Davide Mattiello, al consigliere regionale Antonio Ferrentino. E poi ci sarà anche Pino Masciari, l’imprenditore edile calabrese che, dal 1997, con la moglie e i due figli, è sottoposto ad un programma speciale di protezione per aver denunciato la ’ndrangheta e le sue collusioni politiche. «Pagherò quello che devo all’agenzia delle entrate, ma chiedo che mi vengano scontate mora e interessi», ha dichiarato Esposito.
Il calvario
Tutto inizia quando l’architetto Esposito si oppone alle varianti di un progetto in un maxi cantiere di corso Susa, a Rivoli: 85 appartamenti di varia metratura, per quasi 10 milioni di euro (tre di questi furono depositati in una filiale svizzera della banca Bim). Che lieviterebbero a 15 con modifiche «difficilmente giustificabili» anche per i pm. La presa di posizione costa il posto di direttore dei lavori al professionista. E qui inizia ad essere minacciato in modo molto diretto da Nicola Mirante, titolare del Gruppo Rea edilizia e arrestato per associazione mafiosa.
Si costituisce parte civile nel processo e perde perché, secondo una legge abrogata solo nel 1997, le società di architettura e di ingegneria non potevano lavorare per i privati. In soldoni ora l’Agenzia delle Entrate e l’Inarcassa pretendono circa un milione di euro dall’architetto che ha denunciato la ’ndrangheta. Mirante e i soci della Bim rivorrebbero invece un milione e 100 mila euro. «È incredibile – dice Esposito – io per pagare questo processo ho dovuto chiudere uno stabilimento in Oman, ho rivisto dei contratti per i miei dipendenti. Oggi garantisco lavoro per 20/30 addetti, ma potrei arrivare a cento».
«La storia di Mauro spiega bene il trattamento che lo Stato e la sua assurda burocrazia riservano ad una persona che ha messo in gioco la sua vita per denunciare un’organizzazione criminale», accusa il senatore Stefano Esposito.