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\”Gli uomini sono corruttibili, non le Istituzioni. Non strumentalizziamo questa vicenda per attaccare la magistratura: bisogna andare fino in fondo, perchè se gli uomini che rappresentano le Istituzioni sono collusi, è a rischio non solo la nostra libertà, ma la stessa democrazia\”

Fonte: Il Corriere della Sera – Se hanno ragione gli investigatori milanesi, a tenere le chiavi dei tesori dei clan in Calabria c’era una sorta di \”dottor Jekyll e mister Hyde\” in toga: da magistrato ha sequestrato quasi un miliardo di euro alle cosche, ma stamattina è stato arrestato in una inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano con l’accusa di aver agevolato proprio la ’ndrangheta nella sua veste di presidente della sezione «Misure di prevenzione» del Tribunale di Reggio Calabria. Al giudice Vincenzo Giglio, 51 anni, presidente anche di Corte d’Assise, esponente di spicco della corrente di sinistra di «Magistratura democratica», docente di diritto penale alla Scuola di specializzazione per le professioni legali dell’Università statale Mediterranea di Reggio Calabria, il procuratore aggiunto milanese Ilda Boccassini e i sostituti procuratori Paolo Storari e Alessandra Dolci contestano non il reato di concorso esterno nell’associazione a delinquere di stampo mafioso, ma le ipotesi di reato di «corruzione» e di «favoreggiamento personale» di un esponente del clan Lampada, con l’aggravante (articolo 7 del decreto legge 152/1991) di aver commesso questi reati «al fine di agevolare le attività» della ’ndrangheta.

Nella stessa inchiesta, di cui in queste ore è in corso l’esecuzione di alcuni provvedimenti cautelari, stamattina sono stati arrestati per concorso esterno in associazione mafiosa anche un politico calabrese e un avvocato penalista milanese. Il politico è Francesco Morelli, componente del Consiglio Regionale della Calabria, eletto nella lista «Pdl-Berlusconi per Scopelliti», vicino al sindaco di Roma Gianni Alemanno che l’aveva appoggiato in campagna elettorale. L’avvocato è Vincenzo Minasi, difensore fra gli altri di Maria Valle, la giovane figlia del patriarca (Francesco) della famiglia, della quale tempo fa aveva ottenuto l’annullamento dell’arresto in Cassazione. In ogni Tribunale, la Sezione Misure di Prevenzione è una delle più delicate perché da lì passano le richieste della Procura di sequestrare beni allo scopo di evitare la commissione di reati da parte di soggetti considerati socialmente pericolosi: l’applicazione di queste misure patrimoniali prescinde dal fatto che sia stato commesso un reato, ma può giustificarsi già solo con la semplice esistenza di un indizio a carico del soggetto. E solo per stare alle cronache più recenti, c’era la firma di Giglio in calce ai provvedimenti con la quale la sezione di Tribunale da lui presieduta a Reggio Calabria accoglieva le richieste dei pm di sequestro di 330 milioni di euro al re dei videopoker Giaocchino Campolo, di 190 milioni di euro (comprese due squadre di calcio) alla cosca Pesce, di 150 milioni di euro alla ’ndrina dei Rumbo-Galea-Figliomeni legata ai Commisso. Giglio era molto attivo pure nel dibattito pubblico sulla criminalità organizzata calabrese.

Protagonista di convegni e iniziative antimafia, di recente in una lettera aveva avuto una puntuta polemica pubblica con il pm reggino Nicola Gratteri («lo preferisco come inquirente piuttosto che come opinionista e sociologo»), del quale aveva contestato «la tesi per cui sulle nostre teste penderebbe la condanna di dovere essere perennemente circondati e ammorbati dalla \’ndrangheta». Giglio scriveva invece che «non è questa (finalmente) l\’aria che si respira nella nostra città», dove «noto gente stufa, che non vuole morire sotto il tacco del capobastone di turno, che ha compreso senza possibilità di equivoco che la \’ndrangheta è la moneta cattiva che scaccia quella buona. Posso dirlo? Mi pare che tante persone si siano rotte le palle di vivere una vita a metà e comincino a scorgere la bellezza di una vita per intero». Un arresto-choc, dunque, che per la seconda volta in 15 anni vede il pm Boccassini chiedere e ottenere da Milano l’arresto di un alto magistrato in un’altra città.

Era già successo nel 1996 nell’indagine Sme/Ariosto e nell’inchiesta Imi-Sir con il capo dei gip di Roma, Renato Squillante, le cui iniziali condanne per i soldi dall’avvocato Fininvest Cesare Previti vennero però poi annullate nel 2006: nel caso Imi-Sir da una assoluzione in Cassazione che gli attribuì non una «corruzione» ma un «traffico di influenza» reato in altri Paesi ma non in Italia, e nel caso Sme dall’«incompetenza territoriale» milanese dichiarata sempre dalla Suprema Corte che trasferì il fascicolo alla Procura di Perugia, che nel 2007 prese atto della sopraggiunta prescrizione. In quegli stessi processi erano stati imputati l’ex giudice di Corte d’Appello di Vittorio Metta (condannato in via definitiva per corruzione in atti giudiziari nel caso Imi-Sir/lodo Mondadori), l’ex giudice e capo di gabinetto ministeriale Filippo Verde (poi assolto dalla corruzione sia in Sme sia in Imi-Sir) e il pm romano Francesco Misiani (assolto dal favoreggiamento di Squillante nel processo Sme).

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