di Pietro Orsatti
Quando Pino Masciari legge le “cronache” dalla sua terra non riesce a stare zitto. L’imprenditore calabrese che quindici anni fa decise di ribellarsi al sistema del racket politico mafioso e di denunciare chi cercava da tempo di intimidirlo per costringerlo a pagare, non è mai stato uno che sia tirato indietro. E oggi sente il bisogno di commentare e analizzare il caso dei 40 arresti effettuati ieri sulle infiltrazioni e il racket nei lavori sull’autostrada Salerno – Reggio Calabria. E lo fa a ragion veduta, perché è proprio quel sistema, quell’intreccio fra affari, mafia e pessima pubblica amministrazione che lo ha costretto a lasciare la sua terra quindici anni fa.
Quaranta arresti. Un sistema che tu hai conosciuto bene e che hai denunciato.
Si, ieri questi arresti. In un quadro che ho denunciato già 15 anni fa. Un sistema dove la criminalità organizzata ti chiede il 3 per cento e la politica, poi, il 6. Ma non ti chiedono solo il pizzo del 3 per cento, ti costringono anche ad utilizzare loro uomini e loro ditte per fare i lavori a partire, ad esempio, per il movimento terra. Questo avveniva quando? Quindici anni fa. A distanza di tanti anni non è cambiato nulla. L’abbiamo visto l’anno scorso e nel 2008 con la ‘ndrangheta che ha messo le mani sulle opere dell’Expo del 2015. Anche lì, per le grandi arterie – stanno facendo l’ampliamento dell’A4 -, ci sono state delle operazioni della Dda che hanno individuato infiltrazione del clan degli Arena con altri e sempre attraverso i lavori di movimento terra. Sempre “il 3 %” e queste imprese collegate e amiche.
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Tu oggi dici che l’inflazione non ha condizionato la quota del “pizzo”.
Esatto. E questo la dice lunga. Se l’inflazione non ha colpita la percentuale del pizzo, è perché le mafie non hanno problemi di accantonare proventi e guadagni. Quelli con questo sistema avranno sempre potere. Non aumentando la quota si garantiscono questo potere.
Quasi che facessero un favore a chi viene taglieggiato.
Schiavizzando però sempre il lavoro e le persone. Facendole inginocchiare. Acquisendo potere
Le stesse dinamiche che volevano importi anche a te 15 anni fa.
Dopo tanti anni ti ritrovi a vedere che non è cambiato nulla. La ‘ndrangheta continua a chiedere il 3%, continua con la violenza e l’intimidazione a far si che gli imprenditori si pieghino alle loro richieste. E qui mi faccio una domanda. Perché, dopo quindici anni, dopo che tanti imprenditori hanno denunciato, si sono ribellati, si continua ad accettare in silenzio il ricatto? Quindici anni fa si era soli. Denunciare significava la “deportazione”, perdere tutto quello per cui si era lavorato una vita. Significava l’esilio dalla propria terra, significava essere annientati, l’annullamento della persona come tale e non solo come imprenditore. Perché gli imprenditori non vogliono alzare la testa? Perché vogliono piegarsi a questo malaffare?
Oggi la situazione è differente? Ci sono più tutele per chi si ribella al sistema mafioso?
Certo che sono cambiati i tempi. Oggi c’è l’associazionismo, ci sono le leggi che allora non c’erano. Oggi l’imprenditore non è costretto a lasciare la propria terra come è capitato di fare a me. Oggi non si è più soli.
Non è che conviene anche a alcuni imprenditori accettare questo sistema?
Evidentemente… non lo so. Adesso ci sono altri interessi, di altra natura. Forse a questo punto si può parlare di qualche complicità. È vero che c’è tanta paura. Ma la paura, ripeto, è comprensibile quando si è soli. Oggi le istituzioni ci sono, le leggi ci sono. Basta chiedere l’applicazione delle leggi. È necessario un atto di coraggio, di unione. Di sforzo collettivo di denuncia di questo sistema e di progettazione di un Paese nuovo dove la cultura del malaffare non abbia cittadinanza. Dobbiamo organizzare il coraggio.
Il sud e la crisi economica. Forse ad aumentare la paura contribuisce anche questo fattore.
Nel sud c’è un livello di disoccupazione giovanile che supera il 30%. La criminalità organizzata questo lo sa bene. Perché ha tanta liquidità da distribuire. Quindi sa bene come poter investire nell’accaparrasi uomini, mezzi e potere. Con i soldi, con la liquidità.
I soldi non puzzano.
Il Dio denaro sta mettendo in ginocchio l’Italia. Sta dividendo il Paese. L’Italia geograficamente e giuridicamente è una, però nel modo di fare non è mai stata una. Noi abbiamo il Sud che è la zavorra del Paese e dell’economia. Un sistema che ha vissuto in questi anni con i finanziamenti pubblici, con la corruzione e il clientelismo. Ma non solo. Questo sistema ormai si è diffuso proprio grazie al denaro. È entrato a far parte pesantemente dell’economia italiana. Penetrando dove trova spazi e disponibilità. Si, i soldi non puzzano e sono sempre ben accolti.
Tu oggi annunci che tornerai a fare l’imprenditore. Nei prossimi mesi dirai come e dove. Anche in Calabria?
Certo che intendo tornare a lavorare. Questa è una delle ipotesi su cui stiamo lavorando anche grazie alla disponibilità da parte del ministero dell’Interno. Tornare nella mia terra è uno degli obiettivi.
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