È quello che, ironicamente e pericolosamente \”rischiano\” gli imputati del processo contro la \’Ndrangheta a Lavagna, dopo la decisione di rinviare il processo in corso di 1 anno. Sembra un rinvio necessario per poter trascrivere tutte le intercettazioni telefoniche acquisite, ma questo comporterà l\’inevitabile scadenza delle misure cautelari in corso. Questo è il risultato di processi che si dilungano per troppo tempo, carenza di personale giuridico e i conseguenti tagli che ogni Governo che si sussegue portano ad un risultato allarmante per la Giustizia. È una grave quanto inaccettabile conseguenza che rende vano il lavoro di tante persone nell\’eterna lotta alle mafie, peccato che niente di concreto, Governo e Stato Italiano sembrano voler fare per invertirne la tendenza!
’Ndrangheta a Lavagna, il processo slitta di un anno
Sarà necessario forse un anno di lavoro per trascrivere tutte le intercettazioni telefoniche e delle cimici. Un anno in cui 13 periti lavoreranno per mettere su carta i dialoghi captati dalla squadra mobile di Genova durante l’inchiesta sulla ’ndrangheta a Lavagna. E per questo il processo, iniziato il 13 settembre davanti al collegio del tribunale di Genova, dovrà necessariamente attendere per entrare nel vivo. Perché è su quelle intercettazioni che, in gran parte, si basano le accuse della direzione distrettuale antimafia di Genova. E, di conseguenza, anche le strategie difensive dei 19 imputati.
Il rinvio potrebbe avere poi una conseguenza concreta, anche se il condizionale è d’obbligo. Le misure cautelari che hanno portato all’arresto di Paolo, Antonio e Francesco Nucera e di Francesco Antonio Rodà, ora in carcere, e di Paolo Paltrinieri e Alfred Remilli, entrambi agli arresti domiciliari, potrebbero concludersi il 13 giugno prossimo, a un anno dal rinvio a giudizio, per scadenza dei termini di durata massima. Un anno appunto, questo almeno è quello che prevede la legge formalmente. Di conseguenza i sei tornerebbero in libertà. E visto che le trascrizioni richiederanno molto tempo, quella data verrà quasi certamente superata. Per questo ieri mattina, nell’udienza del processo, il sostituto procuratore Alberto Lari, che ha diretto l’inchiesta sulle infiltrazioni della malavita calabrese a Lavagna, ha chiesto che vengano sospesi i termini delle misure cautelari. Cioè che si interrompa il conteggio dell’anno dal rinvio a giudizio. Una richiesta che ha trovato il parere contrario già di alcuni avvocati difensori, in aula, tanto che il collegio di giudici ha dato 15 giorni di tempo ai legali per presentare per iscritto le opposizioni a quella domanda. A quel punto si deciderà. In ogni caso, è bene precisarlo, la legge prevede che, al di là delle trascrizioni di cui si discute, per processi particolarmente complessi e che hanno tra i capi di imputazione il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso si possa chiedere una sospensione dei termini, così da arrivare alla sentenza.
Ai Nucera, a Rodà e a Paltrinieri questo reato è contestato, visto che per la Dda fanno parte della Locale di Lavagna, gruppo emanazione di un clan della ’ndrangheta. Un gruppo che esiste, secondo quanto stabilito dalla prima sentenza emessa per questa indagine dal giudice per l’udienza preliminare Nicoletta Bolelli, che nel condannare Antonio Rodà a 14 anni e 8 mesi per associazione mafiosa e spaccio lo scorso 17 luglio ha ritenuto provata la presenza della ’ndrangheta a Lavagna. Una valutazione che peserà a processo, visto che Antonio Rodà era stato arrestato assieme al cugino nella stessa inchiesta ed è stato già giudicato solo perché ha scelto il rito abbreviato.