E’ stata ampiamente provata l’esistenza di una cosca mafiosa egemone nel territorio crotonese che fa capo alle famiglie Vrenna-Corigliano-Bonaventura, così come quella che nella frazione Papanice era guidata da Pantaleone Russelli. Ed è stato provato anche il patto che l’ex capogruppo del Pd in Consiglio comunale aveva stretto proprio con i clan di Papanice per ottenere i voti necessari a salire tra i banchi di piazza della Resistenza.
Lo spiegano i giudici del Tribunale di Crotone presieduto da Massimo Forciniti, Franco Russo Guarro e Michele Ciociola a latere, nelle motivazioni alla sentenza emessa lo scorso 7 giugno a conclusione del processo ‘Heracles’ che vedeva alla sbarra 33 imputati. Una sentenza che ha confermato conferma la solidità dell’impianto accusatorio costruito dai sostituti procuratori del la Dda Sandro Dolce e Pierpaolo Bruni sulla scorta delle indagini condotte dagli investigatori della squadra Mobile di Crotone: venti condanne, in alcuni casi con pene severissime, ma anche 13 assoluzioni, tra le quali quella del presidente della Camera di commercio Roberto Salerno, che era accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, dalla quale è stato assolto per non aver commesso il fatto, e di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di un imprenditore al quale avrebbe chiesto 10 mila euro per consentirgli di tenere una fiera denominata ‘Crotone expo’.
“Gli esiti dell’istruttoria dibattimentale – affermano i giudici del Tribunale nelle motivazioni depositate in questi giorni – consentono di ritenere pienamente provate l’esistenza e l’operatività sul territorio crotonese di una consorteria criminale denominata Vrenna-Corigliano-Bonaventura”.
Le origini del sodalizio
“Sulla tematica delle origini del sodalizio deponevano, rendendo dichiarazioni intrinsecamente attendibili in quanto chiare, precise, lineari, costanti e concordi nei nuclei essenziali, anche i collaboratori Marino e Bonaventura, membri della consorteria dagli inizi degli anni novanta con ruoli, secondo quanto dagli stessi affermato, di importanza strategica per la realizzazione del programma criminoso. Al riguardo è tuttavia opportuno prendere le mosse dalle propalazioni, a loro volta dotate di coerenza intrinseca e, soprattutto, di natura talora confessoria, rese sul punto in sede d’esame dall’imputato, nonché collaboratore di giustizia, Vrenna Giuseppe, visto il ruolo verticistico che ricopriva nell’ambito della cosca, propalazioni ampiamente riscontrate… Ed invero, escusso all’udienza dell’11.04.2011 sosteneva di avere rivestito, a partire dagli anni sessanta, nel contesto del sodalizio qui in esame, di gradi di ’giovane d’onore’, ‘picciotto’, ‘sgarrista’, ‘santista’, ’evangelista’ e ‘tre quartino’, che a quell’epoca la cosca di cui era membro era comandata dal padre Luigi sostituito in tale ruolo, una volta deceduto, dal fratello Raffaele e che la consorteria costituiva, in quanto ‘locale’, il punto di riferimento delle ’ndrine di diversi paesi limitrofi, quali Rocca di Neto, Cutro, Isola Capo Rizzuto e Cirò. Trattasi di asserzioni che trovano sostanziale conferma nel propalato di Luigi Bonaventura detto gnè gnè, membro di spicco dell’ente criminale che affermava che suo nonno Luigi Vrenna era l’originario soggetto di vertice, e che il sodalizio esercitava, vista la sua importanza, la propria influenza sulle ’ndrine operanti nei territori viciniori”.
La struttura della cosca
“Da una attenta analisi degli atti acclusi al fascicolo per il dibattimento emerge che la cosca denominata Vrenna-Corigliano-Bonaventura si caratterizzava per la puntuale suddivisione dei compiti tra i diversi consorti, espletati nel rispetto di regole che ne delimitavano l’ambito territoriale di operatività o le specifiche attività delinquenziali. Altra peculiarità della consorteria era senz’altro l’esistenza di sottogruppi di accoliti anch’essi attivi nell’ambito dell’ente criminale attraverso la gestione, in determinati contesti spaziali, delle estorsioni e del narcotraffico. La stessa analisi evidenzia il ricorrere di uno degli indici di maggior rilievo dell’esistenza di un’organizzazione criminale di tipo ’ndranghetistico: lo svolgersi, secondo precise regole, di riti per l’affiliazione nonché per il conferimento di ‘qualifiche’ superiori, ordinate, secondo quanto riferito dai collaboratori, in modo crescente – da quella di ‘piccioto’ al ‘crimine intemazionale’ – e legate ai ‘meriti’ riconosciuti al sodale sulla base della gravità e dell’importanza delle imprese criminali concretamente realizzate.
Il sodalizio Vrenna-Corigliano-Bonaventura aveva rapporti di tipo delinquenziale con altre cosche criminali. Tale assunto rivela tutta la sua fondatezza non appena ci si riporti, ancora una volta, alle dichiarazioni dibattimentali dei collaboratori. Ed invero si è teste fatto riferimento alle propalazioni del Vrenna c del Bonaventura secondo cui in origine la consorteria costituiva, in quanto locale, il punto di riferimento delle ’ndrine circostanti. Quest’ultimo ha anche definito stabili e concretatisi in una vera e propria alleanza sorta negli anni novanta i rapporti tra l’organizzazione di cui era membro e la cosca Megna operante nel territorio di Papanice. La circostanza è stata confermata dal Marino, a dire del quale con tale ultima consorteria era stato stretto un accordo per lo scambio di favori e per la suddivisione delle estorsioni da perpetrare in danno degli imprenditori operanti sulla strada statale 106 ionica. ll collaboratore ha altresì riferito di una riunione tra membri delle due organizzazioni, nel corso della quale si ribadiva tale alleanza attraverso l’impegno reciproco di scambiarsi informazioni relativamente alla gestione delle attività estorsive”.
Le attività illecite dell’ente criminale
L’istruttoria dibattimentale consente di ritenere ampiamente provato che la cosca Vrenna-Corigliano-Bonaventura poneva in essere molteplici attività illecite, ed in particolare danneggiamenti, estorsioni, narcotraffico e rapine. Quanto ai primi assumono particolare rilievo non solo le propalazioni a contenuto collaborativo ma anche le dichiarazioni rese dai testimoni citati ed escussi su richiesta del Pubblico Ministero, che hanno riferito di numerosissimi danneggiamenti subiti dai beni riconducibili alle proprie aziende, tutte operanti nel crotonese, oltre che quanto sostenuto dai testi di Pg in ordine a sopralluoghi e sequestri di materiale di vario tipo riconducibile ad attentati di matrice chiaramente ’ndranghetista. Lo stesso può dirsi a proposito delle estorsioni, avendo l’istruttoria fornito molteplici e convergenti elementi tali da far ritenere ampiamente provato che il clan assoggettava, attraverso una presenza costante e capillare sul territorio, molti degli imprenditori ivi operanti a richieste estorsive, precedute, accompagnate o seguite da danneggiamenti a scopo intimidatorio.
Una delle principali fonti di reddito della consorteria era rappresentata dall’attività di narcotraffico, che era gestita con criteri imprenditoriali ed attraverso modalità organizzative tali da consentire il continuo approvvigionamento e la costante distribuzione di cocaina, eroina, hashish e marijuana, sostanze reperite attraverso diversi canali e smerciate per il tramite di pushers dislocati su tutto il territorio crotonese.
Circa le rapine non può che richiamarsi il complesso delle dichiarazioni rese nel corso del dibattimento a proposito dell’organizzazione del delitto in danno dei furgoni portavalori. Quanto suesposto assume particolare rilievo al fine di far ritenere provata l’esistenza dell’associazione”. Per il Tribunale, infatti, “non possono avanzarsi ragionevoli dubbi in ordine al fatto che il reiterarsi di una pluralità di delitti della stessa specie, le specifiche modalità con cui venivano perpetrati, il ricorrere di una peculiare suddivisione dei ruoli tra i sodali anche e soprattutto con riferimento alla loro realizzazione ed il convergere dei relativi proventi in una cassa comune con il riconoscimento ai membri di vertice del cosiddetto ‘fiore’ siano sintomi evidenti del concreto manifestarsi dell’operatività dell’associazione”.
A proposito dell’esistenza di un sodalizio capace di terrorizzare le sue vittime, quindi, i giudici fanno riferimento “al tenore delle dichiarazioni della maggior parte dei testi di Pg vittime di attentati e danneggiamenti, che pur riconoscendo di averli subiti hanno negato di essere stati destinatari di richieste estorsive, in tal modo evidenziando la sussistenza di un diffuso clima di omertà”. Particolarmente significativo, in proposito, quanto dichiarato al processo da Venerucci Paolo, a dire del quale le aziende coinvolte nella realizzazione della centrale turbogas di Scandale subivano numerosi danneggiamenti e le società committenti accettavano, senza pretendere, così come avrebbero potuto, l’applicazione della penale all’uopo contrattualmente prevista per il ritardo nella ultimazioni dei lavori, ritenendolo imputabile al particolare contesto ambientale… Nella stessa ottica si pongono le dichiarazioni dibattimentali del teste Pristerà Francesco che sosteneva di avere acconsentito alla richiesta estorsiva del Bonaventura in quanto rimasto impaurito dal suo autore allorquando gli veniva avanzata, condizione psichica che presenta una logica ed evidente correlazione con i numerosi attentati di chiara matrice mafiosa che per sua stessa ammissione subivano le sedi degli esercizi commerciali di cui è titolare”.
La disponibilità di armi
“La disponibilità di armi in capo all’associazione e la destinazione delle stesse al conseguimento dei relativi fini costituiscono un dato ampiamente dimostrato dalle convergenti dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Bonaventura, Marino, Vrenna, Elia” i quali “hanno affermato che la consorteria di cui erano membri aveva la disponibilità di numerose armi utilizzate per la realizzazione degli scopi illeciti perseguiti, e che le medesime erano, seppure in parte, custodite in un magazzino nella disponibilità di Salvatore Bonaventura detto Rino ubicato a Crotone in via Acquabona; all’avvenuto sequestro di armi rinvenute nel detto immobile ha fatto riferimento il teste Strada nel corso della sua deposizione. Il Marino ha aggiunto di avere detenuto, al pari del sodale detto gnè gnè, delle armi per conto della cosca, e che il compito di mantenerle in efficienza era stato affidato al Pennisi, circostanza che trova un preciso riscontro nel contenuto del verbale di sequestro delle armi rinvenute all’interno di un immobile nella disponibilità di quest’ultimo. Assumono rilievo in questo contesto le dichiarazioni del Cortese, secondo le quali in diverse occasioni il Marino ebbe a scambiare armi con altri affiliati all’ente criminale capeggiato da Grande Aracri Nicola. La destinazione delle armi alla realizzazione degli scopi del sodalizio deve ritenersi provata anche sulla base del contenuto delle affermazioni dei collaboratori di giustizia che hanno fatto più volte riferimento ad attentati realizzati a colpi d’arma da fuoco”.
La cosca dei Papaniciari
L’esistenza di un’organizzazione criminale di stampo mafioso armata denominata ‘cosca dei Papaniciari’ può ritenersi provata sulla base degli esiti dell’istruttoria dibattimentale. Ed invero, e con riferimento in primo luogo al propalato dibattimentale del Bonaventura, si evidenzia che il medesimo ha sostenuto che la consorteria in oggetto era, fino all’omicidio di Luca Megna, capeggiata da quest’ultimo – figlio di Domenico detto ‘Mico’ – e Pantaleone Russelli. Ha inoltre affermato di avere intrattenuto rapporti sia col Russelli, per il tramite del Marino e del Bumbaca, che col Megna, e di aver partecipato ad un incontro finalizzato a risolvere il conflitto venutosi a creare tra i due. Riferendosi al clan dei Papaniciari nel suo complesso, ha inoltre dichiarato che quest’ultimo e l’organizzazione di cui era sodale avevano stretto, a partire dagli anni novanta, una vera e propria alleanza. Ulteriore indice della vicinanza tra le due consorterie e del pieno coinvolgimento del clan ‘Vrenna-Corigliano-Bonaventura’ nelle dinamiche proprie della struttura soggettiva di vertice dell’organizzazione criminale dei Papaniciari è costituito da quanto sostenuto dallo stesso collaboratore a proposito di un incontro tra i dirigenti del primo, nel corso de quale si decideva di assassinare il Russelli per dissidi insorti in ordine alla comune gestione delle estorsioni nel crotonese. Tale incontro era preceduto, sempre stando alle affermazioni del Bonaventura, da una riunione con il Megna e lo stesso Russelli funzionale alla definizione delle modalità di una eventuale comune gestione delle attività illecite. Di una vera e propria alleanza tra la consorteria di appartenenza e la cosca dei Papaniciari ha parlato anche il Marino, che dopo aver sostenuto di essere stato ‘battezzato’ alla presenza, tra gli altri, di Domenico Megna, ha affermato che ‘la stessa era gestita inizialmente da Giuseppe Vrenna, e che prevedeva, tra l’altro, lo scambio di favori ed un accordo per la suddivisione delle estorsioni da perpetrare in danno degli imprenditori operanti sulla strada statale 106 ionica. Il collaboratore ha anche precisato di aver provveduto a gestire tali rapporti per conto del sodalizio nel periodo immediatamente precedente l’inizio della collaborazione e durante. A proposito del rapporto in questione il Marino ha altresì evidenziato che, dopo la più volte menzionata scissione verificatasi in seno all’ente criminale cui apparteneva, Luigi Bonaventura detto gnè gnè stringeva una solida alleanza con Pantaleone Russelli e Luca Megna. Quanto alle modalità con le quali i rapporti tra i due enti criminali si estrinsecavano ha riferito, al pari del Bonaventura, dell’assistenza ricevuta dal Megna e dai suoi uomini subito dopo la più volte menzionata sparatoria, di armi che per conto del sodalizio di cui era membro riceveva da alcuni dei sodali della cosca dei Papaniciari, dei contatti con Luca Megna e Marincola Cataldo – a capo, a suo dire, del locale di Cirò, definito come il più potente nel crotonese in quel momento – in ordine all’estorsione perpetrata in danno dell’imprenditore Basile Carlo e della gestione, unitamente al Russelli, della stessa attività delinquenziale nei confronti del Pristerà. Una conferma del pieno coinvolgimento del clan nelle dinamiche di natura conflittuale che col tempo ebbero a riguardare i vertici dell’organizzazione va ravvisata nell’aver il collaboratore fornito una compiuta descrizione dei motivi che determinavano l’insorgere del contrasto tra Luca Megna ed il Russelli e della successiva evoluzione dello stesso, riferendo inoltre in ordine alle ragioni per le quali il gruppo capeggiato da Luigi Bonaventura detto gnè gnè decideva, intervenuto il detto conflitto, di conservare rapporti di carattere illecito col secondo. Altri elementi rivelatori dell’esistenza e dell’operatività dell’ente delinquenziale qui in esame sono desumibili dalle dichiarazioni del Bumbaca, che ha al riguardo anzitutto individuato nominativamente parte dei suoi membri, sostenendo che a capo dello stesso vi era Pantaleone Russelli. Le dichiarazioni del collaboratore confermano che le due organizzazioni ebbero ad instaurare dei solidi rapporti di natura delinquenziale, essendo emerso dal suo propalato che Sergio Vrenna e Pantaleone Russelli raggiungevano un accordo per la ripartizione delle zone da assoggettare ad attività delinquenziali. Non può del resto trascurarsi in questa sede, ed a conferma della vicinanza delle due organizzazioni, il contributo che il dichiarante ha sostenuto di aver dato, su richiesta di Francesco Russelli, definito luogotenente del fratello Pantaleone, all’elezione a consigliere comunale di Giuseppe Mercurio. Lo stesso Arcuri, nel precisare le ragioni per le quali iniziava a collaborare con la giustizia, ha riferito di uno scontro tra Pantaleone Russelli e Luca Megna nell’ambito della cosca dei Papaniciari, così presupponendone l’esistenza. In sede dibattimentale il Cortese definiva ottimi i rapporti tra la cosca cui apparteneva e quella, comandata da Pantaleone Russelli, operante sul territorio di Papanice, riferendo che Grande Aracri Nicola ebbe in più occasioni a consegnare ai membri della stessa armi e denaro da impiegare nella realizzazione di attività illecite. Ha dichiarato altresì, come suesposto, di avere preso parte, unitamente, tra gli altri, a Pantaleone Russelli – quest’ultimo in qualità di rappresentante delle organizzazioni delittuose del crotonese – al pranzo nuziale conseguente al matrimonio del figlio di Antonio Pelle, così evidenziando lo spessore criminale del primo, a suo dire al vertice di un sodalizio costituito, tra gli altri da Antonio e Salvatore Macrì. Ed ancora, nel riferire dei motivi per i quali iniziava a collaborare con la giustizia, l’Elia ha sostenuto di avere appreso che membri di spicco del clan dei Papaniciari erano pronti ad ammazzarlo. Ed ancora, Vrenna Giuseppe, soggetto al vertice del sodalizio, ha definito Russelli Pantaleone elemento di spicco della criminalità organizzata all’apice di un sodalizio operante nel territorio di Papanice che aveva Antonio Macrì tra i suoi membri. Ha sostenuto inoltre che Grande Aracri Nicola ebbe a riferirgli della sua particolare vicinanza al Russelli”.
“Non si può nemmeno trascurare, nel delineare la struttura organizzativa della consorteria criminale, l’importantissimo ruolo che in qualità di concorrente esterno svolgeva il sodale Paglia Michele, che informava i partecipi detenuti presso la locale casa circondariale dell’eventuale presenza di microspie all’interno delle celle in cui erano ospitati”.
tratto da Il Crotonese