Reggio Calabria. Spietata l’analisi della Commissione d’inchiesta sul ciclo rifiuti in Calabria. Nella relazione da poco approvata da Camera e Senato vengono poste in evidenza tutte le inefficienza di 14 anni di gestione commissariale. Gestione che poco o nulla avrebbe contribuito a far uscire la regione da una situazione frammentata e giungere definitivamente al ciclo integrato. Obiettivo, a detta dello stesso organismo bicamerale presieduto da Gaetano Pecorella, non impossibile da realizzare alla luce dei dati quantitativi che danno conto del fatto che la Calabria produce annualmente poco più di 915 mila tonnellate di rifiuti solidi urbani, a fronte di una popolazione di circa due milioni di abitanti.
Ed invece, l’obiettivo raggiunto in tutti questi anni è stato l’esatto opposto, con una perdita stimata di oltre un miliardo di euro finito invece nelle tasche della politica e, soprattutto, della criminalità organizzata.
Le conclusioni a cui è giunta la stessa commissione al termine di oltre due anni intensi di lavoro non lasciano spazio a commenti incoraggianti: le inefficienze del sistema hanno favorito l’inserimento nel ciclo dei rifiuti della ‘ndrangheta. Caso emblematico è sicuramente la situazione in provincia di Reggio Calabria, dove maggiore si avverte la presenza asfissiante delle cosche. Anche perché proprio qui si registra un giro d’affari che muove ogni anno oltre 150 milioni di euro, pari al 2% del Pil del territorio. Ed è sempre qui che si registra un altro fenomeno dalle sfumature inquietanti: delle 171 imprese (un numero, secondo i componenti della stessa commissione, già assolutamente spropositato in relazione al numero di abitanti) che operano nel settore, ben 115 non sono note al sistema, non essendo mai stata chiesta per loro alla prefettura la certificazione antimafia; 12 hanno avuto certificazione antimafia interdittiva; 31 sono state destinatarie di certificazione antimafia liberatoria; 3 sono in amministrazione giudiziaria, mentre per 8 ditte è in corso la relativa istruttoria, essendo stata richiesta per la prima volta la certificazione antimafia. In conclusione, sulle 46 ditte circa note al sistema, solo 12 hanno certificazione negativa, più o meno il 20 per cento, una percentuale già di per sé molto scarsa rispetto alle ditte note, che diventa addirittura irrilevante se rapportata all’elevatissimo numero di imprese (115) che, pur occupandosi di rifiuti, non sono note al sistema.
Un dato – per la Commissione Pecorella – che rivela, già di per sé, in modo drammatico quanto sia elevato il livello di diffusione dell’illegalità nell’intera provincia di Reggio Calabria. Un’anomalia del sistema, viene ancora detto, che merita di essere sottolineata.
di Francesco Chindemi tratto da ReggioTV.it