Era riuscito a rimanere uccel di bosco per 192 giorni prima di finire in manette, a gennaio. Del resto Vincenzo Mandalari era abituato a muoversi con uguale destrezza nell’ombra e alla luce del sole, tra affari leciti e illeciti. Il boss della «locale» di Bollate, imprenditore cinquantenne con inquietanti ambizioni politiche, ha visto ieri il pm della Dda di Milano Alessandra Dolci chiedere per lui una delle condanne più severe — 18 anni — nell’ambito del processo scaturito dall’Operazione Infinito, che vede alla sbarra con rito abbreviato 118 imputati (venerdì la prossima udienza). Centosettanta erano stati gli arresti solo in Lombardia nel luglio 2010 che avevano sradicato le infiltrazioni della ‘ndrangheta sul territorio lombardo e svelato anche i contatti delle cosche con il mondo imprenditoriale e delle istituzioni.
Insieme a Mandalari sono finiti sabato alla sbarra nell’aula bunker milanese di via Ucelli di Nemi anche Alessandro Manno, capo della «locale» di Pioltello, con vent’anni di reclusione richiesti; e Pasquale Zappia (18 anni), considerato il capo dei capi della ‘ndrangheta in Lombardia dopo l’elezione che si tenne il 31 ottobre 2009 nel centro Falcone Borsellino di Paderno Dugnano. Le accuse per gli esponenti delle 15 «locali» individuate comprendono, a vario titolo, anche il reato di associazione mafiosa e disegnano una vera e propria colonizzazione della regione da parte delle cosche.
Su Mandalari, detenuto nel carcere di Ancona nonostante la richiesta di trasferimento avanzata dal suo avvocato, Manuel Gabrielli, sono puntati i riflettori del maxi processo perché era proprio lui, secondo il lavoro degli inquirenti che lo intercettavano da più di tre anni, uno dei personaggi chiave della ’ndrangheta nel Milanese. Imprenditore apparentemente irreprensibile e conosciutissimo, per gli inquirenti era in realtà uno dei principali tessitori della tela del ragno: fu lui a organizzare il summit di Paderno. Con la sua società Imes — formalmente intestata alla madre — Mandalari controllava appalti su movimento terra, scavi e fognature, lavorando per conto di svariati Comuni dell’hinterland.
Grazie all’aiuto di un amico politico, il cugino Orlando Vetrano era stato assunto alla Ianomi, il Consorzio che si occupa della gestione dell’acqua, con il compito — secondo gli inquirenti — di «garantire lavoro alle imprese di Mandalari».
di Raffaella Foletti (Il Giorno)