Era vera, autentica associazione mafiosa, per la precisione ’ndrangheta calabrese, quella radicatasi nel controllo delle bische di Riccione e del resto della Riviera, controllo sfociato poi nella storia dell’omicidio di Gabriele Guerra. Lo si era detto nelle aule giudiziarie e scritto a ripetizione sui giornali, nei sei lunghi anni fra il 1999 e il 2005. L’avevano “stampato” a chiare lettere i giudici nelle sentenze di primo grado e d’appello. Ora arriva il suggello definitivo della Suprema Corte: la condanna di Giovanni Lentini, Francesco Mellino, Mario Domenico Pompeo e Domenico Bumbaca per associazione a delinquere di stampo mafioso, è divenuta definitiva.
E’ la prima volta – si precisa negli ambienti giudiziari locali – che una condanna emessa dal Tribunale di Rimini sulla base dell’articolo 416 bis del codice penale, diventa irrevocabile. In altre parole, è stata processualmente dimostrata – e questo per la prima volta in via definitiva – l’esistenza di un’associazione armata di tipo mafioso operante sul territorio romagnolo, in particolare nella provincia di Rimini. I ricorsi dei quattro sopra nominati, sono stati respinti dalla Corte di Cassazione, seconda sezione penale, cno la sentenza 875/2011, dopo l’udienza del 18 marzo scorso. Confermate le pene: 13 anni di reclusione a Lentini, 8 a Mellino, 4 anni e 8 mesi a Pompeo, 3 anni a Bumbaca. La compagnia non è tutta qui.
Lentini e Mellino, insieme a Saverio Masellis, hanno avuto l’ergastolo in via definitiva per l’omicidio Guerra. Mentre in primo grado a Rimini, erano stati condannati per associazione di stampo mafioso i cinque di cui sopra, più Francesco Cardamone e Dritan Belegu: da Masellis a Belegu, le pene andavano da 14 a 4 anni di reclusione. La sentenza ora confermata dalla Cassazione, depositata nel settembre 2008 dopo un processo di ventitre udienze durato tredici mesi, era del collegio presieduto da Carlo Masini, giudici a latere Sante Bascucci e Sonia Pasini.
Nelle 180 pagine di motivazione i togati parlavano di \”associazione diretta al controllo, con metodo certamente mafioso, del gioco d’azzardo\”; di \”indici rivelatori tipici della mafiosità dell’organizzazione\”, \”radicata presenza in Romagna di un gruppo di persone, quasi tutte legate alla ’ndrangheta calabrese le quali, grazie al diffuso timore, allo stato d’assoggettamento determinato dalla forza del loro legame, riuscivano a controllare un settore economico assai lucroso, riassumibile in quello legato al gioco d’azzardo\”.
Fonte: Romagnanoi.it