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Fonte: Biagio Simonetta per Il Corriere della sera – Sono duecento. Forse di più. Si avvicinano un attimo, col viso basso. Poi spariscono dietro le baracche, avvolti in felpe che non riparano dal freddo. I neri della Piana di Gioia Tauro vivono in un mondo parallelo. È un’altra dimensione, questa. Di giorno fra gli agrumeti della Piana, a raccogliere arance per 12 ore. Di notte lungo via Passo Nicotera, a Rosarno, accampati in un ghetto. Così da due mesi. I loro occhi liquidi sembrano parlare. E non importa la conoscenza della lingua, la provenienza. La sofferenza è universale, la comprendi. È quello che trasmettono. Sono loro che due anni fa, sempre d’inverno, misero a soqquadro la cittadina in provincia di Reggio Calabria. Allora furono due dannatissimi pallini di carabina a scatenare l’inferno. Era il gennaio 2010 e Rosarno catalizzò l\’attenzione dell\’Italia intera: guerriglia urbana, faide fra calabresi e africani.

LE ORIGINI – Tutto ha inizio il 12 dicembre del 2008 quando sparano a due ivoriani. Due neri che lavorano fra gli agrumeti della Piana. Non li uccidono, ma forse è solo un caso. La tensione cresce, gli africani non ci stanno. Sono disposti a tutto, ma non alla morte. Accettano alloggi fetidi e condizioni di vita inimmaginabili, ma non la \’ndrangheta. Nascono i primi focolai di protesta. Poi l\’inverno passa, gli agrumi finiscono, gli africani si dissolvono. Un anno dopo il problema si ripresenta. Qualcuno torna a dare la caccia al nero. E i motivi non sono mai stati chiariti. C\’è chi ipotizza che i clan vogliano una percentuale anche sulle paghe misere che i caporali elargiscono agli africani. Questa volta, però, non usano pistole ma una carabina: l\’effetto è uguale, il terrore. Ma fa meno male e si rischiano pene meno severe. In poche ore, poi, la paura dei leoni d\’Africa lascia spazio alla rabbia. La guerriglia urbana caratterizza le prime settimane del 2010. Rosarno è un inferno. Gli slogan anti \’ndrangheta in mano agli ivoriani ricordano la protesta di Castel Volturno: lì furono Setola e i suoi a seminare scompiglio. Qui è un\’altra storia.

CALAFRICA – Oggi a Rosarno il clima sembra da vigilia. Si respira quell\’attesa nervosa che c\’è prima di una rivolta. È piovuto a fasi alterne, negli ultimi giorni. L\’erbaccia umida gela i piedi, il fango prende le caviglie. Gli africani vogliono gli alloggi, dicono che qualcuno gliel\’aveva promessi un anno fa. Si avvicina un ragazzone con una felpa grigia. Il cappuccio gli copre il capo. Ha 24 anni e spalle larghe. Viene dalla Costa d\’Avorio. Non ci tiene a dire il suo nome, poi cambia idea e dice di chiamarsi Ndulu. Ma finge, è evidente. Come gli altri duecento africani, anche lui ogni mattina all\’alba staziona lungo la strada Nazionale, in attesa del caporale che lo porti a travagliare. I furgoni passano verso le 5 e mezzo. Il salario giornaliero lo si contratta sul momento. Spesso è di 15 euro. Poi comincia il lavoro nei campi. Ma in questi gironi capita con frequenza di rimanere «a casa». Non è una grande annata per gli agrumi. Vorrebbe un pasto caldo, Ndulu. Mangia arance da giorni e i suoi succhi gastrici non reggono più. Vorrebbe fare una doccia, ma nella baracca in lamiera dove s\’è accampato non c\’è neanche il bagno. Le bucce degli agrumi gli hanno corroso anche le unghie. Pochi attimi e si allontana. Il timore di una foto lo spaventa. Ma prima fa intendere che senza alloggi, molto presto potrebbe scoppiare la protesta. Nei giorni scorsi il Comune s\’è visto costretto a bloccare il flusso di africani in coda per compilare il modulo di accesso al campo di accoglienza. Gli alloggi per gli extracomunitari regolari, a Rosarno, ci sono. Ma non basteranno per tutti. E gli africani sembrano saperlo. Intanto è di nuovo sera. I più fortunati tornano dopo dodici ore fra gli alberi, passate a raccogliere le arance che finiranno anche nei supermercati di Milano. Qualcuno ha acceso un fuoco, ci si scalda bruciando quel che capita in questo vecchio centro agrumicolo di via Passo Nicotera. Per un attimo il disagio scompare è torna la fratellanza. Spunta qualche sorriso. È Rosarno, ma sembra l\’Africa.

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