Si è conclusa la latitanza del boss della \’ndrangheta: si è costituito Giuseppe Pesce,
di 33 anni, reggente dell\’omonima cosca di Rosarno, una delle più note ed importanti dell\’organizzazione criminale calabrese. Pesce si è presentato ai carabinieri di Rosarno accompagnato dai suoi legali, gli avvocati Gregorio Cacciola e Benito Infantino. \’\’Basta, sono stanco di scappare, meglio finirla qui\’\’, ha detto Pesce ai suoi difensori, chiedendo loro di accompagnarlo dai carabinieri che lo hanno subito portato nel carcere di massima sicurezza di Palmi.
ROSARNO (Reggio Calabria) – Era l’ultimo esponente della temibile cosca Pesce che era riuscito ad evitare il carcere. Ieri sera Giuseppe Pesce, 33 anni, ha deciso di porre fine alla latitanza, che durava da tre anni e si è consegnato ai carabinieri di Rosarno. Sul suo capo pende una condanna a 12 anni e sei mesi, per associazione mafiosa, inflitta pochi giorni fa dal Tribunale di Palmi.
TREGUA MATRIMONIALE – Giuseppe Pesce, figlio di Antonino e fratello di Francesco, detto “Ciccio Testuni”, potrebbe aver deciso di costituirsi dopo l’arresto della moglie, Ilenia Bellocco, finita ai domiciliari lo scorso 6 maggio perché avrebbe aiutato il marito latitante. Per i magistrati della dda di Reggio Calabria la Bellocco avrebbe tenuto, infatti, i contatti con Giuseppe Pesce attraverso un altro affiliato alla cosca, Domenico Sibio, uomo di fiducia dei Pesce. La donna figlia di Umberto Bellocco, capo storico della ‘ndrina di Rosarno, aveva assunto – secondo i magistrati – un ruolo di primo piano nell’organizzazione della famiglia. Il suo matrimonio con Giuseppe Pesce, aveva in qualche modo sancito una sorta di tregua tra le due famiglie di ‘ndrangheta riuscendo a cementare un rapporto che prima di quel matrimonio si era incrinato per ragioni di monopolio territoriale.
LE RICERCHE DEI ROS – Da tre anni il Ros dei carabinieri era sulle tracce di Giuseppe Pesce. Gli investigatori dell’Arma gli avevano chiuso ogni canale di collegamento ultimo, per l’appunto, quello con la moglie. Anche dalla latitanza, in questi tre anni, Giuseppe Pesce avrebbe dettato le regole e impartito ordini. La carica di reggente gli è stata impartita direttamente dal fratello Ciccio, che dal carcere di Palmi, attraverso un pizzino, poi sequestrato dagli agenti di custodia, aveva tentato di far arrivare al proprio fratello ordini da eseguire durante la sua detenzione. Nel foglietto sequestrato c’erano scritti i nomi d’imprenditori costretti a pagare la mazzetta e le indicazioni con le nuove cariche da dare ai picciotti di famiglia.
LE CONDANNE – Nei giorni scorsi il Tribunale di Palmi ha condannato 41 tra capi e gregari della famiglia Pesce per un totale di cinque secoli di carcere. Il processo è scaturito dall’operazione “All Inside” nata dopo le rivelazioni di Giuseppina Pesce, che con le sue dichiarazioni ha consentito di decimare una delle più importanti cosche calabresi operanti nella Piana di Gioia Tauro. Per la giovane figlia del Boss Salvatore Pesce, non è stato un percorso agevole. Giusy Pesce ha più volte tentato di far marcia indietro alla fine, però, ha deciso di rompere con il passato. L’ha fatto soprattutto per amore dei suoi figli ai quali ha creduto di dare una vita diversa e forse migliore.
Carlo Macrì
cmacri@corriere.it15 maggio 2013 | 22:38