Taggato: testimoni di giustizia

1

Usati e abbandonati

Da ToscanaTV del 27/08/2008:

 

27/08/2008I testimoni di giustizia sono la dimostrazione del fallimento dello Stato.

Cittadini che hanno dato un contributo fattivo nella lotta alle varie mafie sono stati lasciati soli praticamente in condizioni di mendicita\’. Sono tante le storie di questo genere come quella dell\’imprenditore calabrese Pino Masciari, di due sorelle che hanno visto uccidere un compagno di classe e quella dei fratelli Verbaro che a Prato vivono dell\’assistenza della chiesa. Ora anche il vescovo Gastone Simoni sta per gettare la spugna scrivendo al sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta che non e\’ piu\’ in grado di assisterli e nulla e\’ stato fatto da autorita\’ regionali e locali. Jacopo Pepi, avvocato dei due fratelli Verbaro, non si capacita del muro di gomma innalzato dalle autorita\’ rispetto a chi per legge avrebbe diritto ad un riconoscimento da parte dello Stato e vorrebbe un intervento del ministro della Giustizia Alfano. \’Nel corso degli anni c\’e\’ stato un comportamento omissivo di ostacolo alla difesa di queste persone – nota l\’avvocato Pepi -, che purtroppo a differenza dei pentiti non avevano avuto mai a che fare con la giustizia e sanno meno come muoversi\’. Giuseppe Verbaro ha fatto poi notare come avvocati, sacerdoti e anche giornalisti che si sono occupati della vicenda sono stati invitati a farsi i fatti propri, come se i testimoni di giustizia fossero dei vuoti a perdere di cui non occuparsi.

 

Per vedere il filmato, seguite il link: http://www.toscanatv.com/leggi_news_video?idnews=NL083758

 

5

“Testimoni di Giustizia Abbandonati”

Da "La Nazione" del 27 agosto 2008:

"Testimoni di giustizia abbandonati"
Il vescovo scrive a Gianni Letta

Così il vescovo Gastone Simoni definisce in una lettera due calabresi, i fratelli Verbaro, che hanno dovuto abbandonare la loro casa secondo il programma di protezione, dopo aver testimoniato contro la \’ndrangheta. E\’ stato l\’avvocato Pepi a rendere noto il comunicato.

\"\"

Il vescovo della città scrive al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta a proposito di due persone che a Reggio Calabria testimoniarono contro la \’ndrangheta e che oggi vivono a Prato grazie all\’ospitalità del vescovo stesso.  "Testimoni di giustizia ridotti in una misera situazione e autorità regionali e comunali che per ora non hanno mantenuto le promesse di un fattivo contributo, almeno per pagare loro l\’affitto di casa\’\’, dice la lettera.

20

Diritto di Voto

 

Pino Masciari e Marisa hanno potuto esercitare il diritto al voto in sicurezza nella loro Serra San Bruno.

Tornare nella loro terra è stato emozionante per loro e per noi che li abbiamo accompagnati.

Questa volta non abbiamo seguito la carovana delle macchine di scorta come al solito. Troppo rischioso, strade impervie, salite, ogni macchina che compare nello specchietto retrovisore cattura la nostra attenzione. Ogni sguardo rivolto verso di noi ci mette in allerta.

Arrivati a Serra San Bruno raggiungiamo Pino e famiglia, sono in compagnia delle nonne che Francesco e Ottavia incontrano per la seconda volta. Nonna Masciari ringrazia tutti voi che state vicini a suo figlio, ha gli occhi lucidi, non sa cosa dire e nemmeno noi.

Fuori ci  sono gli uomini della scorta, come si vede dalle immagini sono in allerta con le armi in pugno, quando Pino esce in strada alcuni paesani si avvicinano, lo salutano, lo incoraggiano, molti si girano dall\’altra parte.

Ci rechiamo al seggio elettorale, Pino constata con soddisfazione che lo Stato gli garantisce di recarsi alle urne in sicurezza.

Si avvicinano alcuni giovani, di quelli a cui Pino sa parlare, di quelli che vedono un modello in lui e non in Provenzano, anche loro lo incoraggiano.

Pino vuole assolutamente portarci nella sua casa, quella che ha abbandonato il 17 ottobre del 1997 fuggendo in fretta e furia, per essere deportato in altra regione entrando nel programma di protezione.

Entriamo, ci si prospetta la classica casa fantasma, alcuni oggetti sono li al loro posto come appena usati, ricoperti di polvere. Mancano le porte, alcuni mobili, qualcuno ha approfittato dell\’assenza degli inquilini…

Pino rovista negli armadi… "chissà dove sono le fotografie" in una stanza c\’è un lettino, un box per bimbi e alcuni giocattoli.

Vediamo mobili di pregio,  capiamo quelle che erano le sue proprietà, a quante persone dava lavoro, il rispetto con cui trattava i suoi operai.

Quello di cui sente la mancanza non sono le proprietà ma gli affetti familiari e i profumi della sua terra.

Marisa ci racconta che proprio qui sotto hanno dato fuoco alla sua auto…

Vediamo anche l\’attrezzatissimo studio dentistico di Marisa, un altra casa fantasma piena di polvere e ragnatele.

Quanta economia è andata in fumo grazie alla distruzione della vita dei Masciari?

Visitiamo anche la certosa di Santa Maria del Bosco, un posto fantastico di cui i Masciari constatano il degrado "…qui andiamo sempre peggio…"

A pranzo non possiamo rimanere a Serra San Bruno, troppa tensione per tutti, vedere i mitra in mano agli uomini della scorta non è certo rassicurante.

Corriamo in dicesa verso Vibo Valentia, è difficile star dietro alle macchine della scorta ma non stiamo certo facendo una gita…

Nel pomeriggio andiamo in albergo e crolliamo per la troppa tensione accumulata, Pino no… continua a muoversi, a parlare a telefonare, è un leone in gabbia come sempre…

Ogni giorno passato qui mi fa capire quanto grande e importante fosse l\’imprenditore Giuseppe Masciari, spesso mi dico che se avesse pagato quelle percentuali che gli venivano chieste, oggi avrebbe una vita agiata…

Quello che mi rimane più impresso di questa giornata, è lo sguardo… quello di Marisa che più volte mi guarda negli occhi e mi chiede "cosa dici? siamo stati degli scellerati a fare questa scelta? a perdere tutto per non piaegarci alla \’ndrangheta?"

Ci sono altri due sguardi che mi rimangono impressi, quelli di Francesco e Ottavia con noi sballottati in questa intensa gionata…

 

Rispondete al dubbio di Marisa commentando questo post, ha bisogno di sentirlo da tutti voi…

 \"\"

 

Guarda le immagini del presidio di Cuneo

 

4

A casa Masciari

Queste ultime giornate sono state ricche di impegni ed emozioni e trovo solo pochi minuti per raccontarvi a quello che succede.

Ieri io e Federica abbiamo accompagnato la famiglia Masciari a Serra San Bruno, loro paese di origine. La tensione è stata altissima, abbiamo percorso le tortuose strade calabresi con una attentissima scorta decisamente rinforzata rispetto ai giorni scorsi.

Si sono recati a votare e poi ci hanno portati a vedere la loro vecchia abitazione da dove sono stati "deportati" il 17 ottobre del 1997

Nella casa fantasma abbiamo trovato questo:

\"\"

Guardiamo con attenzione la data:

\"\"

Sarà banale ma a me ha gelato il sangue nelle vene…

Abbiamo visto lo studio di Marisa…

In questo momento non riesco a tradurre le mie emozioni e tantomeno le loro ma ci tenevo a farvi sapere che stiamo bene e non molliamo.

0

Chi sono

Sono un imprenditore edile calabrese, nato a Catanzaro nel 1959, sottoposto a programma speciale di protezione dal 18 ottobre 1997, unitamente a mia moglie Salerno Marisa(medico odontoiatra) e due bambini, perché ho denunciato la criminalità organizzata “ ’ndrangheta ” e le sue collusioni .

La criminalità organizzata, insieme a personaggi di spicco del mondo politico ed istituzionale, ha distrutto le mie floride imprese di costruzioni edili. Come? Bloccandone le attività, rallentando le pratiche nella pubblica amministrazione dove essa è infiltrata, intralciando i rapporti con le banche con cui operavo. Tutto ciò dal giorno in cui ho detto basta alle pressioni mafiose dei politici ed al racket della ‘ndrangheta.

Le mie imprese occupavano mediamente qualche centinaio di persone, cui va aggiunta l’occupazione di ditte specializzate in vari settori (idraulico, impiantistico,di pavimentazione, lavorazione intonaci, ecc.) e svolgevano attività sia nelle opere pubbliche che nel settore privato.

Una delle due, nello specifico la “ Masciari Costruzioni ” operava con gli appalti pubblici: dunque era orientata alla costruzione di: Case Popolari, Impianti Sportivi, Scuole, Strade, Restauri di Centri Storici, ecc. Lavoravo bene, avevo anche dieci cantieri aperti contemporaneamente . Nel contempo, l’altra impresa societaria lasciatami da mio padre, in cui avevo l’incarico di amministratore, costruiva Abitazioni Civili destinati alla vendita e realizzava lavori privati per conto terzi.

Inizialmente mio padre e poi successivamente io, riferivamo alle Forze dell’Ordine le pressioni di natura estorsiva che la ‘ndrangheta esercitava sulle nostre imprese e del pericolo cui eravamo esposti.

Le risposte erano sempre le stesse: “ stia attento prima di denunciare, si rischia la vita, non si esponga troppo”.

Nel 1988, il mese di febbraio, venne a mancare mio padre. Mi trovai completamente solo, con una famiglia numerosissima di nove fratelli e per poter continuare a lavorare dovetti cedere alle richieste estorsive: il SEI per cento ai politici, il TRE per cento ai mafiosi. Ed i soprusi che dovetti sopportare, le angherie, le assunzioni pilotate, le forniture di materiali e di manodopera imposta da qualche capo-cosca o da qualche amministratore, nonché costruzioni di fabbricati e di uffici senza percepire alcun compenso, regali di appartamenti, l’acquisto di autovetture, e persino la costruzione di cappelle cimiteriali ecc….

A questo si aggiunge che la soggezione al potere mafioso era imposto soprattutto dall’atmosfera di invivibilità che si era creata in quegli anni su tutta la Calabria ed in particolare nel mio territorio, dove, per supremazia di interesse da parte delle famiglie malavitose, scoppiò la cosiddetta “ FAIDA DEI BOSCHI “, che apportò decine di morti e diffuse il terrore nei cittadini onesti ed in particolar modo in chi esercitava un’attività imprenditoriale, vittime di atti intimidatori e di taglieggiamenti.

Ma il senso di ribellione alla prepotenza e all’ arroganza che subivo era presente in me, solo che non avevo alternative e la responsabilità che sentivo verso la mia famiglia, verso i miei dipendenti, verso me stesso, era enorme.

Dal 1990, decisi di non sottostare alle pretese estorsive dei politici che consisteva nell’elargizione di denaro e di lavori gratuiti, di conseguenza non si fecero attendere le prime ripercussioni sulla mia azienda. Gli stati d’avanzamento lavori mi venivano pagati con notevole ritardo che arrivava a superare anche l’anno e addirittura non mi venivano considerati i lavori eseguiti che dunque non erano nè contabilizzati nè pagati. Cercavo di resistere a queste forme di ostruzionismo con molta difficoltà e le banche, dal loro canto, facevano la loro parte aggravando l’azione d’intralcio.

Dal 1992 con durezza e determinazione decido di non elargire più somme di denaro alla ‘ndrangheta.

Incominciava così la disfatta totale delle mie imprese: fioccarono i danni dolosi come furti, incendi, danneggiamenti dei mezzi di lavoro e di attrezzatura sui cantieri, per passare poi alle esplosioni d’arma da fuoco ( LUPARA ), alle minacce personali, alle telefonate minatorie che mettevano in subbuglio la vita quotidiana di una intera famiglia.

Nel 1993, mese di Aprile, giorno di pasquetta uno dei miei fratelli fu avvicinato da sconosciuti e sparato alle gambe . Se la cavò. Fui fermato da malavitosi che mi costrinsero a non costituirmi parte civile. E così dovetti fare.

Le banche subdolamente mi consigliavano di rivolgermi agli usurai per ottenere quella liquidità che mi era venuta meno dai mancati pagamenti dei lavori già realizzati e per i quali io avevo investito le mie risorse.

Un circolo vizioso dunque!

Nel settembre 1994, con grande amarezza, decisi di licenziare tutti gli operai della mia impresa pur avendo diversi cantieri in opera, lavori in fase di ultimazione, nuovi appalti aggiudicati e altri di cui stavo per stipulare i contratti, appalti che comprendevano lavori anche in Germania a cui dovetti rinunciare, il tutto per un importo di circa 25 miliardi di lire .

Fu nel mese di novembre dello stesso anno e precisamente giorno 22 (compleanno di mia moglie) che incontrai il maresciallo LO PREIATO NAZARENO, comandante allora della stazione dei Carabinieri di Serra San Bruno, mia località di residenza e, sapendo del suo sentito impegno, incominciai ad avere fiducia, raccontando in linee generali le mie vicende e quanto mi stava succedendo; fiducia che mi era venuta meno dal comportamento che dopotutto si preoccupavano per me ma nello stesso tempo esprimevanoanimo di rassegnazione non confacente al ruolo che rivestivanodelle persone che lo avevano preceduto, i quali erano da me informati circa le mie vicissitudini.

Ma le ripercussioni non furono limitati ai fatti sopra descritti. Nell’ ottobre del 1996 mi fu notificata la sentenza di fallimento di una delle mie imprese della quale ero titolare, la “MASCIARI COSTRUZIONI di Masciari Giuseppe “ ditta individuale. Dunque la mia ribellione era ulteriormente punita: inverosimilmente il fallimento era decretato per un importo di lire 134.000.000, avverso l’azienda che vantava crediti, possedeva immobili e numerose attrezzature edili.

Ma non è tutto.

Il fallimento è stato dichiarato dal giudice Patrizia Pasquin, giudice presidente della sezione fallimentare di Tribunale di Vibo Valentia.

A distanza di anni, l’ 11 novembre 2006 veniva data notizia in tutte le testate giornalistiche a mezzo stampa eTv la seguente notizia: “arrestato il giudice xxxxxxx” . Si riscontra sul sito internet “ la REPUBBLICA. It – CRONACA : Riceveva dalla mafia una stabile remunerazione”; Vibo, interrogato il giudice Pasquin ; Mastella: “Seguivo il caso da tempo”.

Le mie denuncie sono state consacrate presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro.

I giudici della Distrettuale Antimafia che accosero le mie denuncie, valutarono la vastità dei miei racconti e dei personaggi accusati, personaggi del mondo politico, amministrativo e mafioso, ma soprattutto, considerato il grave ed imminente pericolo di vita cui ero esposto io e la mia famiglia quale conseguenza delle mie denuncie, mi prospettarono l’assoluta necessità di allontanarmi con la mia famiglia dalla mia Regione e di entrare quindi sotto tutela del Servizio Centrale di Protezione, lasciando così in tronco la mia famiglia, i miei amici, il mio lavoro, il mio ruolo sociale e di riflesso anche mia moglie e i miei due bambini hanno subito con me l’ esilio.

Lì 6 giugno 2007

0

Testimoni di giustizia o di ingiustizia?

Testimoni di giustizia o di ingiustizia? \"PDF\" \"Stampa\" \"E-mail\"
di Rosanna Scopelliti   
giovedì 13 settembre 2007
\"RosannaNon conosco bene il trambusto che ha vissuto il nostro amico Pino Masciari quella notte di 10 anni fa quando, dopo aver scelto di testimoniare contro i suoi estorsori ed aguzzini, si è affidato anima e corpo allo Stato per collaborare nelle indagini ed ottenere non solo giustizia, ma soprattutto protezione per sé e la sua famiglia. Da quel giorno lui sarebbe stato un “testimone di giustizia”, una sorte che tocca tutti coloro che, per vissuto, si sono trovati a vivere la violenza della malavita fino a trovare la forza di denunciare e testimoniare apertamente contro i propri aguzzini.

Pino spesso  racconta che, dopo aver deciso di collaborare ed essere stato trasferito per motivi di sicurezza, non ha potuto ricominciare a vivere come garantito: niente lavoro per lui e la moglie, un reddito minimo che basta appena ad arrivare alla fine del mese e l’impossibilità di impiegarsi in alcun modo.
E mi chiedo se sia possibile che i suoi figli vadano a scuola come gli altri bambini, ma i loro nomi e cognomi siano alla luce del sole, chiari, palesi e di certo facilmente rintracciabili? E se sia poi ammissibile che a Pino stesso venga recapitata la posta a nome suo come ad un normale cittadino che ha cambiato residenza per motivi personali? E che senso ha allora l’essere relegato in un località segreta, il rinunciare ad una vita normale ed agli affetti della propria terra se poi non si è tutelati, se non si ha la sicurezza dell’anonimato, se si vive comunque sotto gli occhi di tutti, buoni e cattivi?

Nel tempo il nostro coraggioso amico ha continuato e continua a svolgere il suo compito di “testimone di giustizia”: ha testimoniato, racconta nei suoi numerosi interventi pubblici, spostandosi anche a sue spese, anche senza scorta e rischiando in prima persona pur di contribuire a segnalare e far punire non solo i suoi estortori, ma coloro che, con la violenza e la tracotanza tipica dei malavitosi, intimidivano altri imprenditori e tenevano sotto scacco tutto un sistema di economie e piccoli potentati. Con il suo contributo sono stati sgominati i più pericolosi clan del vibonese e le sue dichiarazioni sono state decisive nei vari processi a carico dei suddetti signori. Eppure le sue deposizioni pare venissero spostate all’ultimo minuto, le macchine impiegate ad accompagnarlo si rompevano “casualmente” per strada o la scorta per un motivo o per l’altro sembrava sempre riscontrasse problemi ad arrivare. Ma Pino, nonostante tutto, ha sempre presenziato per rendere la sua preziosa testimonianza.

Spesso mi è capitato di incontrare Pino ed i suoi. l coraggio delle sue parole, la speranza che nutre, la voglia di rientrare nella sua terra, l’impegno impiegato per una giustizia che, come spesso avviene, tarda ad arrivare imprigionata dalle mille ragnatele burocratiche sono le motivazioni che spingono me a trovare la forza di essergli vicino, di voler essere quasi uno scudo umano per lui e la sua importantissima lotta non solo di legalità, ma soprattutto di CIVILTA’.
Questo vuol dire essere cittadini italiani, questo è vivere portando il tricolore nel petto, vivere onestamente, o solo semplicemente VIVERE.

Adesso Pino ha bisogno di aiuto. E’ solo, abbandonato da una parte di Stato che da lui ha solo preso, uno Stato che offre mille garanzie ai “Pentiti” e che ahimè si dimentica degli ONESTI cittadini, coloro che non hanno mai ucciso, o estorto, o contravvenuto alla legge.
Pino ha dalla sua la società civile, quella che ha voglia di informarsi e che non vive preoccupandosi solo del suo “orticello”; con Pino ci siamo noi giovani, noi familiari delle vittime di mafia, noi piccoli sognatori che vediamo in lui un esempio da seguire e da difendere contro ogni ingiustizia o intimidazione… Prima che sia troppo tardi.
Tardi com’è stato per Fedele Scarcella, imprenditore calabrese, onesto, coraggioso. Non pagava il pizzo lui, anzi, denunciava a ruota libera i suoi estortori, una, dieci, cento volte. Gli proposero di emigrare perché in Calabria non si sarebbero riuscite a creare le condizioni per proteggerlo, ma rifiutò scegliendo di cambiare solo provincia: da Reggio Calabria a Vibo. Continuò a lavorare cercando di portare dalla sua anche altri imprenditori, di convincerli a denunciare, a non pagare. Lo hanno trovato morto carbonizzato nella sua auto una mattina d’estate. Ai suoi funerali nemmeno una rappresentanza delle Istituzioni.

E allora quali garanzie? he garanzie lo Stato è in condizione di offrire ai suoi cittadini? ome si fa a chiedere collaborazione se poi chi fa il suo dovere è costretto ad un esilio senza garanzie o ad affrontare la morte?

Tempo fa in un intervista fatta da Curzio Maltese ad un negoziante del Corso di Reggio emergeva come fosse normale pagare il pizzo (o la mazzetta per essere più precisi). Tramite quel pedaggio il commerciante aveva assicurata la buona riuscita del suo esercizio e la protezione contro ogni malintenzionato, una specie di assicurazione “furto – incendio”. E il commerciante era contento così, anche perchè sosteneva che lo Stato non sarebbe riuscito a garantirgli di più.
“Ha mai pensato di denunciare?” Chiedeva poi, attonito, il giornalista. “Nemmeno per sogno, non voglio fare la fine di Pino Masciari!
Ed è proprio questa la mentalità che vorrei si iniziasse a scardinare, noi come società civile e le Istituzioni facendo la loro parte, dimostrando così insieme la nostra forza.
Perché Pino possa finalmente tornare a lavorare in Calabria, nella sua terra e sia finalmente chiaro che la vera bandiera dello Stato sono i cittadini onesti, che denunciano e che lo Stato ha il dovere di proteggere non in “località segrete” ma nel proprio paese.

Rosanna Scopelliti

0

COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA

 MEMORIA INTEGRATIVA DELLE DICHIARAZIONI RESEDAL TESTIMONE DI GIUSTIZIA GIUSEPPE MASCIARIAVANTI ALLA SOTTOCOMMISSIONE DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA IN DATA 11/11/2004

Il sottoscritto MASCIARI GIUSEPPE, nato a Catanzaro il 05/02/1959, di professione imprenditore, coniugato con Salerno Marisa, nata a Serra San Bruno il 22/11/1965, di professione medico odontoiatra, con due figli: Francesco, nato a Serra San Bruno il 28/03/1995, e Ottavia, nata a Serra San Bruno il 1/09/1996, sottoposto, unitamente alla sua famiglia, a regime di protezione come Testimone di Giustizia dal 17/10/1997, domiciliato in località protetta, nota al Servizio Centrale di Protezione, riassume qui di seguito schematicamente le dichiarazioni rese avanti alla Sottocommissione della Commissione Parlamentare Antimafia, nell’audizione del 11/11/2004, fornendo ulteriori elementi chiarificatori in aggiunta a quelli già esposti.

clicca:     commissione-parlamentare-antimafia-1-definitiva.doc

  

           Dalla Località Protetta, addì 26 Novembre 2004 

                                                           Giuseppe Masciari