Questa volta è l’istantanea di Pietro Pipicella, 37 anni, detto Petri di Giusi ‘u zoppo. La riconosce: per lui è affiliato alla ‘ndrangheta, riveste il grado di picciotto èd stato nel 2006 “capo giovani”. Eh sì, le cosche ci tengono alle nuove leve. Lavora in un impresa edile dell’Alta velocità nel Nord e secondo la Procura di Torino che il 9 giugno 2011 lo prenderà nell’ambito dell’operazione Minotauro con la quale assesta un colpo durissimo alle cosche calabresi in Piemonte, nel frattempo ha fatto carriera. I pm scoprono che è diventato esponente del locale di Natile di Careri a Torino, partecipe della “società minore” ed è affiliato alla ‘ndrangheta almeno dal ‘97.
Pipicella non è l’unico picciotto con un pedigree pronto da spendere proprio mentre i lavori dell’Alta velocità in Piemonte sono partiti. La torta miliardaria di quest’opera faraonica e discussa non sfugge agli appetiti delle cosche e ben lo sa chi è già passato attraverso questa esperienza. “Ho conosciuto la mafia in occasione dei cantieri dell’Alta velocità – dichiara il presidente della Camera di commercio di Reggio Emilia, Enrico Bini – Venivano a proporsi offrendo una grande disponibilità economica e di mezzi, nascondendo dietro a una faccia pulita lavoratori in nero, camion sovraccarichi e frequentazioni ambigue. Non era facile capire, anche se c’era chi girava con l’auto blindata e la scorta. Non sarà facile neppure ora”.
Se lo Stato, le Istituzioni, i sindacati, la Chiesa e le associazioni datoriali stanno alzando il muro, la ‘ndrangheta si è già posizionata da tempo ungo il percorso della Tav, anche se l’operazione Minotauro ha inferto un colpo tremendo ai loro equilibri e alle cordate in vista dei lavori.
Leggere il tracciato della Lione-Torino equivale, sinistramente, a sovrapporre il percorso alla mappa dei boss, delle famiglie mafiose e dei loro traffici criminali che, guarda caso, ruotano quasi tutti nel ciclo del cemento. Prima di analizzare, bisogna premettere che la sentenza n.362 del 2009 della Corte di Cassazione ha già riconosciuto definitivamente “un’emanazione della ‘ndrangheta nel territorio della Val di Susa e del Comune di Bardonecchia”.
Il percorso “parallelo” delle cosche inizia dai comuni di Chiusa San Michele, Villardora e Sant’Ambrogio. A cavallo di questi due ultimi paesi, il 13 dicembre 2009, nel corso di un pranzo al quale parteciparono molti boss, avvennero i festeggiamenti per conferire la dote di “santista” di ‘ndrangheta a due indagati nell’operazione Minotauro. Il loro referente era Giuseppe Commisso, detto ‘u mastru, nato a Siderno e considerato dai magistrati un padrino a Torino.
A Buttigliera Alta già nel lontano 9 dicembre 1987, quando era il clan Belfiore a dettare legge nel narcotraffico, ci fu un regolamento di conti che lasciò sull’asfalto tre morti e un ferito. Basta spostarsi di qualche chilometro ed entrare a Rivoli dove esisteva un locale (vale a dire una cellula strategica e strutturata) riconducibile alla ‘ndrina Romeo di San Luca. Oggi quel locale, racconta l’operazione Minotauro, è stato rivitalizzato da Salvatore Demasi (ritenuto padrino e capo storico), Gaetano Cortese, il “santista” Bruno Pollifroni e altri personaggi.
Sempre il pentito Varacalli racconta dei traffici della ‘ndrangheta ad Orbassano, comune delicatissimo nello scacchiere non solo geografico e commerciale ma anche politico. Qui, nelle consultazioni amministrative del 2008 è stato eletto consigliere comunale nella lista del Pdl Luca Catalano, nipote di Giuseppe Catalano, considerato dalla Procura “capo locale”di Siderno a Torino, affiliato alla ‘ndrangheta almeno dal 2006, partecipe della “società maggiore” con dote superiore a quella di “padrino”.
Luca Catalano, chiariamo, non è indagato, proclama l’innocenza dei congiunti e si è dimesso dopo l’arresto del padre Giovanni, già nel luglio dello scorso anno. Il 22 maggio 2009, nell’ambito di un incontro politico, scrivono i pm, Luca insistette perché partecipasse anche Francesco D’Onofrio, padrino e fino a febbraio 2010 reggente del “crimine” a Torino, in quanto quest’ultimo sembra avesse il controllo di Vinovo, Nichelino e Moncalieri, dove era amministratore di una casa di riposo per anziani la cui sede operativa è a Cintano. Anche D’Onofrio è caduto nelle maglie dell’operazione Minotauro.
A Grugliasco ci sono Francesco Tamburi, capo società del locale di Siderno a Torino e a Collegno, sempre secondo le cariche ricostruite il 23 giugno dai pm della Dda di Torino, e il “santista” Angelo Giglio, attivo nello stesso locale di Tamburi.
Venaria è un punto sensibile sul tracciato. Come dimostrano le indagini e una dettagliata informativa dei Carabinieri del luogo, datata 7 aprile 2010, vive “un clima di violenza e di intimidazione che connota l’attività edile in questa particolare zona dell’hinterland torinese, dove, al pari del cuorgnatese, la presenza cospicua di affiliati alla ‘ndrangheta ha reso di fatto impensabile lo svolgimento dell’attività edile senza dover corrispondere agli stessi costanti esborsi di denaro, per lo più destinati dagli affiliati al mantenimento dei carcerati”. Più chiaro di così – in vista dei lavori della Tav – si muore.
A Borgaro Torinese, secondo la ricostruzione della Procura di Torino, si staglia la figura di Benvenuto Praticò, appartenente al “crimine”, la cui presenza costante nel territorio di Borgaro e comuni limitrofi gli ha permesso di mantenere contatti con amministratori locali e di proporsi come punto di riferimento anche per personalità politiche non direttamente legate con ambienti malavitosi, come è emerso in occasione del convegno “politico-finanziario” del 19 gennaio 2009 da lui organizzato presso l’Hotel Atlantic di Borgaro Torinese.
Il percorso della Tav si dovrebbe concludere a Settimo Torinese. Questo territorio è sempre stato il feudo di Giuseppe Gioffrè, imprenditore edile, ritenuto dagli inquirenti capo società di Natile di Careri a Torino e nipote del supposto capo cosca di Seminara, Rocco. Proprio a Seminara (Reggio Calabria), Giuseppe troverà la morte nel 2009.
Per i pm il figlio Arcangelo riceve il “battesimo” di ‘ndrangheta il 16 novembre 2008. Quel giorno partecipano, tra gli altri, anche Paolo Cufari, ritenuto \”capo del locale” di Natile di Careri a Torino, Girolamo Napoli, considerato \”mastro di giornata” dello stesso locale e Antonio Agresta, indicato come \”capo società” del locale di Volpiano (tutti caduti nella rete dell’operazione Minotauro). Nonostante l’ingresso del figlio nell’onorata società, alla morte del carismatico Giuseppe, gli inquirenti ritengono che il ruolo a Settimo Torinese sia stato \”assorbito\” da Francesco Perre, attuale capo del locale di Volpiano, che nella zona di Settimo Torinese starebbe raccogliendo soldi che dovranno finanziare la permanenza in carcere degli affiliati del suo \”locale\” di cui fanno parte anche i membri della famiglia Marando. Perre è rimasto impigliato nell’operazione Minotauro.
Un quadro, quello tracciato finora, che non comprende, paradossalmente, la città di Torino, dove la ‘ndrangheta è di casa e che non comprende comuni comunque vicini al tracciato, come Borgone di Susa (dove vivono, secondo la ricostruzione dei pm, i santisti Antonio Carrozza e Francesco Marando) o Moncalieri, dove opera un locale attivato dalla cosca Ursino di Gioiosa Ionica e formato da personaggi delle ‘ndrine Ursino-Scali di Gioiosa Ionica e Aquino-Coluccio di Marina di Gioiosa Ionica.
Contro le infiltrazioni lo Stato e le Istituzioni stanno muovendo le prime mosse sullo scacchiere, forti anche delle esperienze maturate nei cantieri emiliano-romagnoli e lombardi, dove in particolar modo hanno operato prestanome delle famiglie di ‘ndrangheta di Isola Capo Rizzuto, Crotone e dell’immancabile Locride, oltre alle famiglie siciliane di Catania e Caltanissetta e camorristiche di Caserta.
I cantieri controllati dalle cosche, che si insinuano attraverso i subappalti, il noleggio e la manodopoera, diventano spesso rifugi criminali attraverso i quali governare i più svariati traffici. Armi ed esplosivi furono ad esempio rinvenuti nei pressi di un cantiere dell’alta velocità lungo la tratta Milano –Mortara.
La Direzione investigativa antimafia è pronta agli accessi ai cantieri sotto il coordinamento della Prefettura di Torino. L’8 giugno il ministro dell’Interno Roberto Maroni, alla presenza del prefetto Alberto Di Pace, ha già annunciato che per prevenire i tentativi di infiltrazione mafiosa negli appalti sarà creato un gruppo investigativo interforze sul modello di quanto è stato fatto per la ricostruzione all\’Aquila e per l\’Expo 2015 di Milano.
A quell’incontro era presente anche il capo della Procura Giancarlo Caselli. I suoi uomini sono pronti più che mai a vigilare.
articolo di Roberto Galullo (Guardie o Ladri – Il Sole 24 Ore)