Le carceri non sono più luoghi di detenzione, sono vere e proprie università del crimine. E questo si sa da tempo. È sempre stato così. Sono il luogo dove la criminalità organizzata provvede a premiare i suoi affiliati, anche conferendo “doti” nuove. La realtà che che è emersa nel carcere di Catanzaro dove pare circolare di tutto (droga, telefoni cellulari, smartphone utili per videochiamate ecc.) non mi stupisce e di fatto non è una novità.
Lo stesso tipo di “sorprese” sono emerse neanche dieci giorni fa nel carcere di Corigliano Rossano (CS), dove sono stati trovati circa centotrenta cellulari e ancora, qualche mese fa, nel carcere di Vibo Valentia, nella sezione di alta sicurezza, dove ne vennero ritrovati circa dieci.
E chissà cosa verrebbe fuori se allo stesso tipo di indagine fossero sottoposti tutti i penitenziari e, mi verrebbe da dire, tutti i posti dove si esercita potere, dalle pubbliche amministrazioni a finire ai palazzi di giustizia!
C’è poco da scandalizzarsi. Questa è solo l’ennesima conferma di quel sistema generale colluso e connesso con la “cosa unica” dal quale nessun settore, pubblico e privato, può dirsi indenne.
Un sistema parassita che attecchisce ovunque trovi il terreno fertile di chi si presta ad essere strumentalizzato, per profitto personale o anche solo per paura.
Un circuito malato che fa crescere sempre più rigogliosa quella gramigna che è la criminalità organizzata. A subire sempre rimangono solo gli onesti, soffocati e strozzati da questo sistema criminale, ormai divenuto cronico e per il quale ancora non si scorge la fine.