di Marco Barone – \”Gli Italiani\” – In questa breve permanenza in Calabria mi ero proposto come obiettivo umano e sociale di verificare alcune dinamiche territoriali, ed in particolar modo se il vento di cambiamento tanto annunciato sui giornali e media era veramente in corso in questa che è la mia terra di nascita.
Dovevo avere un contributo a dir poco qualificato di chi combatte la ‘ndrangheta in prima linea, ma per ragioni di sicurezza, per il vento umido afoso e mafioso che soffia ultimamente in questa regione tale contributo verrà meno. Comprendo le ragioni, comprendo la motivazione ed a tale persona, di cui non farò il nome, va tutta la mia piena solidarietà.
Vivere a perenne contatto con la scorta, annullare la propria vita privata e sociale per cercare di debellare il canco ‘ndrangheta è dura cosa da tollerare e sopportare. Decido di recarmi in Reggio Calabria passando per Rosarno. Il sole ha regalato da poche ore il suo calore alla nostra umana coscienza.
Entro in quella che sarà una vera odissea stradale la Salerno Reggio Calabria. Vibo Valentia è distante da Reggio solo 100 km.
Tra deviazioni, rallentamenti e cantieri perenni, la media di velocità di percorrenza difficilmente supera i 50 km orari. Prima di entrare dentro tale labirinto epocale, sulla mia destra sorge la prima pietra di quell’ospedale mai costruito, e sulla sinistra la cattedrale nel deserto, l’ennesima; la tangenziale est di Vibo. Enorme speculazione, devastante distruzione ambientale. Lentamente, giungo in Rosarno.
Vedo un cartello stradale bucato a colpi di lupara, e subito dopo quello che indicava la stazione dei carabinieri bucato a colpi di pistola. Sinceramente a questo difficilmente riesco ad abituarmi. Come abiturarsi a questo? Come?
“Quando s’inizia una simile analisi è come se ci si recasse in un bosco non sapendo se c’imbatteremo in un brigante o in un amico”. Queste parole di Svevo tratte dalla Coscienza di Zeno ruotano nella mia mente con moto continuo.
Vedi persone ferme sul ciglio della strada a fumare le loro sigarette. Sembra che vigilino su chi entra nel loro territorio.
Già, il loro territorio recintato dal muro dell’omertà.
Tanti immigrati che camminano lungo la statale 18 intorno alla quale sorge Rosarno, ma anche altri centri abitati come Mileto ad esempio.
Motorini condotti da persone senza casco, auto che ti sorpassano con indifferenza.
Sembra di essere in una terra oltre confine ove le regole della c.d. società civile non esistono.
Vedo ancora immigrati seduti sul muretto.
Mi avvicino a loro.
Tutti in massa accorrono verso l’auto che conduco.
Pensano che sia lì per offrir loro lavoro.
Ma li deludo, non sono un mercenario del lavoro.
Gli chiedo se sono disponibili a rispondere a qualche semplice ed immediata domanda, garantendo loro l’anonimato.
” E’ cambiato qualcosa dopo la rivolta?”
Mi risponde uno dei ragazzi…
” Se vieni qui dalle sei di mattina fino alle otto trovi tante persone che cercano lavoro e lo trovano”.
” Non è cambiato nulla quindi?”chiedo ancora…
ed il ragazzo mi risponde… ” tutto come prima mi dicono”
Tutto come prima!
Per avere conferma di ciò girovagando per il paese chiedo la stessa cosa ad altri immigrati.
Spiego loro che non sono lì per dare lavoro ma per avere informazioni.
Anche loro mi dicono tutto come prima.
Che quella rivolta vera o finta che sia , strumentalizzata o meno ; è stata a realmente anomala, irregolare, non conferma alla regola di quel sistema.
In tal gennaio 2010, due giorni dopo gli scontri, il numero dei feriti era di 53 persone, divisi tra: 18 poliziotti, 14 rosarnesi e 21 immigrati, otto dei quali ricoverati in ospedale.
Son convinto che per capire se le cose sono e siano veramente mutate dopo un periodo intenso di mobilitazione mediatica, in quel posto si deve tornare quando le telecamere sono andate via, dopo che il fuoco ha finito di bruciare la rabbia.
A Rosarno è tutto come prima .
Persone in cerca di lavoro, sfruttate dai padroni e non solo, in fila la mattina per essere caricate su camioncini per andare a lavorare.
Merceficazione pura della dignità umana, della persona umana.
” In qualche modo dobbiamo vivere”, mi dice uno dei ragazzi con cui ho avuto modo di parlare.
Ognuno tragga le sue conclusioni.
Spero di esser smentito dai fatti, ma non comprendo il motivo per cui avrebbero dovuto mentirmi.
Due gruppi separati di persone , distante da loro vari km che mi confermano la stessa cosa, lo stesso dato, lo stesso modo di essere reclutate, lo stesso modo di vivere, la stessa realtà sociale in cui sono ingabbiate,imprigionate.
Dopo aver avuto conferma di quello che sospettavo da tempo, ovvero che a Rosarno la rivolta degli immigrati non era una rivolta spontanea, libera, ma condizionata e manovrata per altri scopi, decido di rietrare in quel labirinto autostradale.
Dopo varie deviazioni, gallerie senza illuminazione, strada ad una sola corsia, mi trovo all’improvviso sul ponte Carola dal quale si scorge Scilla e Cariddi.
Ovvero lo stretto di Messina, la Sicilia.
Un paesaggio a dir poco splendido, meraviglioso, suggestivo, reale, semplicemente vero.
Giungo a Reggio Calabria, in modo violento.
L’autostrada termina dentro la città.
Si entra direttamente in città, accolti da una lunga ed infinita fila di case a due piani .
E incredibile veder come vengano progettate le cose dalla mente umana.
Follia pura.
Follia mera.
Reggio Calabria.
Collocata sulla punta dello “Stivale”, alle pendici dell’Aspromonte, al centro del Mediterraneo. Città dalla storia millenaria, divenne alleata di Atena ma Rhegium fu importante alleata e socia navalis di Roma.
Vieni accolto, dopo aver evitato più di una macchina parcheggiata in doppia fila, da quello che è stato definito il lungo mare più bello d’Italia.
In verità è splendido , curato, ordinato.
Infatti, la mia attenzione viene catturata da una statua dedicaca a Ciccio Franco. Si legge : ” Leader di boia chi molla, Senatore della Repubblica, giornalista, sindacalista”.
Un lungo silenzio pervade il mio essere.
Percorro qualche via interna e vengo accolto dalla musica suonata da un signore anziano.
Suona musica calabrese.
Ma viene suonata con malinconia, con tristezza d’animo.
Ecco il duomo di Reggio, ed alle sue spalle sorge la Procura Generale della Repubblica.
Accanto alla Procura si nota la chiesa degli Ottimati, con impianto architettonico bizantino databile al x secolo, ma noti soprattutto l’esercito .
Sì, l’Esercito inviato dal Governo per proteggere il palazzo di giustizia e non solo.
Non hanno armi tra le mani, sono tesi, si pongono in modo che possano essere visti, in modo che possa filtrare il messaggio l’esercitò c’è.
Lo Stato di guerra è vivo e presente.
Strana sensazione.
Provo a chiedere alla gente di Reggio cosa pensano della venuta dell’Esercito.
Non nascondo che è stato difficile strappare qualche dichiarazione.
Provo ad esempio con uno dei tanti edicolanti di corso Garibaldi, sì quel Garibaldi a cui tante vie centrali sono state dedicate in molte città italiane.
«Un piede è posto al fin sulle ridenti sponde di Reggio e di novella gloria ornar la fronte gli argonauti invano spesseggian folti incrociatori e invano oste nemica numerosa, il dito di Dio conduce la tirannicida falange e oste e baluardi e troni son rovesciati nella polvee e riede sulle ruine del delitto il santo dell’uom diritto e libertade, e il cielo alla redente umanità sorride.»
Ecco quanto scrisse Garibaldi su Reggio Calabria.
Ma se solo la gente sapesse che la sua opera, impresa, è stata finanziata e come dire coperta, protetta dalla massoneria inglese, non credo che sarebbero contenti di vedere il corso principale delle loro città dedicato al dittatore Garibaldi…
Comunque, ritornando al discorso di prima, provo a “strappare” qualche impressione all’edicolante a cui garantisco l’anonimato.
All’inizio sembra essere disponibile, ma non appena pronuncio la parola che non si deve sentire, ascoltare, ‘ndrangheta, testualmente mi dice: ” non vi so dire, non sono addentrato in queste cose , non mi riguarda”.
Detto in poche ma chiare parole, non vedo, non sento, non parlo.
Ritorno sul lungo mare.
” L’esercito è una brutta immagine per la nostra cittadina, sembra militarizzata, anche se è messo in pochi posti, è un problema”.
Questo è quanto mi rifersice un passante disponibile. a cui domando se il problema principale è l’immagine e non altro.
” Si l’immagine della città è compromessa”.
Certo l’apparire è cosa che deve essere tutelata, ovvio.
” Ci sentiamo più protetti come cittadini”.
Questo è quanto mi riferisce una ragazza seduta su una delle tante pachine di quel particolare lungo mare di Reggio, accanto ad un ragazzo, con cui stavano discutendo di normativa, di leggi.
Il ragazzo mi dice:” Può essere utile l’esercito solo se vengono liberate le forze dell’ordine dalla vigilanza. Quello della presenza dell’esercito è un falso problema.”Però mi dice anche: ” nelle scuole le cose lentamente cambiano, si organizzano corsi, contro questa cosa particolare che c’è qui, si parla di più”.
Gli chiedo si riferisce al crimine, alla ‘ndrangheta?
” Si.”
Quanto è difficile pronunciar tale parola nella terra ove comanda e spadroneggia il crimine.
Una terra dove però esistono realtà che la combattono, dove esistono persone che vogliono altro sistema ponendo a rischio ogni giorno la propria incolumità psicofisica, la propria vita.
Il suono del mare addolcisce quel senso di gusto amaro che ha depredato il mio ottimismo in tale giornata calabrese.
Vedo l’orizzonte definito dalla terra di Sicilia, vedi sulla spiaggia ragazzi che si rincorrono spensierati, vedi persone che scambiano il loro primo bacio e vivono il loro primo e vero amore.
Vedo scorrere la vita quotidiana fatta di emozioni e sentimenti, di passioni ed amori, di dolori e reticenze.
Vibo- Reggio solo andata perchè è lì, a Reggio, che oggi è rimasta la mia mente.
Un grande abbraccio,
denise